Procura di Milano: non esiste la libera prateria della rete

Cronaca
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Pubblicate le motivazioni della sentenza con cui Google è stato condannato per la pubblicazione di un video. Secondo i magistrati milanesi il motore di ricerca non ha rispettato le norme sulla privacy

Non mancheranno di fare discutere le 111 pagine di motivazioni della sentenza, depositate oggi, con la quale il tribunale di Milano ha condannato lo scorso febbraio tre dirigenti di Google a sei mesi di reclusione per la pubblicazione di un filmato relativo ad atti di bullismo su un ragazzo disabile. La condanna aveva avuto una eco internazionale e non erano stati pochi i commentatori che parlavano della libertà in rete messa in pericolo. E le motivazioni depositate dal tribunale di Milano sembrano proprio una risposta, molto dura, alle critiche piovute da tutto il mondo. Scrivono infatti i magistrati di Milano che non c'è spazio che sia al di fuori della legge, nemmeno nel web. Nelle motivazioni depositate dal giudice Oscar Magi si spiega che "non esiste nemmeno la sconfinata prateria di Internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato, pena la scomunica mondiale del popolo del web. Esistono invece leggi che codificano comportamenti e che creano degli obblighi che, ove non rispettati, conducono al riconoscimento di una responsabilità penale".

Nelle motivazioni della condanna per violazione della privacy dei 3 dirigenti di Google, il giudice di Milano Oscar Magi fa anche riferimento al clamore mediatico suscitato dalla sentenza, che ha ricevuto anche le critiche dell'ambasciata Usa a Roma, e dice: "Non sembra, a questo giudice, di aver alterato in modo sensibile i parametri valutativi e giurisdizionali che presiedono alle decisione" di casi simili.

"In ogni caso - si legge ancora nelle motivazioni - questo giudice, come chiunque altro, rimane in attesa di una 'buona legge' sull'argomento in questione". Il giudice nelle ultime pagine delle motivazioni scrive una "breve chiosa conclusiva" imposta dalla "grande (ed inaspettata) ricaduta mediatica" del processo e della sentenza. "Molto rumore per nulla", spiega il giudice parafrasando il titolo di una commedia di Shakespeare. La condanna dei dirigenti di Google, infatti, chiarisce il magistrato, "non viene qui costruita sulla base di un obbligo preventivo di controllo sui dati immessi", ma per "un insufficiente (e colpevole) comunicazione degli obblighi di legge", riguardo l'informativa sulla privacy.

Il reato, inoltre, secondo la procura è stato compiuto anche negli Stati Uniti: "Non vi è dubbio che per lo meno parte del trattamento dei dati immessi a Torino sia avvento fuori dall'Italia, in particolare negli Stati Uniti, luogo dove hanno indubitabilmente sede i server di proprietà di Google inc", dicono ancora le motivazioni.

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