Processo via Poma, sentiti i colleghi di lavoro di Simonetta

Cronaca
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Udienza della III Corte d'assise di Roma contro Raniero Busco, ex fidanzato della Cesaroni. Ancora assente Salvatore Volponi, capo della vittima. Un teste: "Una volta lui le telefonò in quell'ufficio"

Continua, davanti alle III Corte d’assise di Roma, il processo per la morte di Simonetta Cesaroni. Sul banco degli imputati, accusato di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà, c’è Raniero Busco, ex fidanzato della vittima. L’udienza di oggi prevedeva la testimonianza di Salvatore Volponi, datore di lavoro di Simonetta. L’uomo, assente, ha mandato ancora una volta un certificato medico. Ai giudici avrebbe dovuto spiegare il perché dei ritardi nelle comunicazioni che hanno posticipato il ritrovamento del cadavere della ragazza. Quel 7 agosto 1990, infatti, Paola Cesaroni  chiama proprio Volponi per sapere dov’è la sorella. Simonetta era dipendente della Reli sas, una società di servizio che gestiva la contabilità per vari clienti. Tra questi, l’Associazione per gli alberghi della gioventù. Con sede al terzo piano di via Poma 2. Non era la prima volta che la donna andava a lavorare lì. Ma Volponi dice a Paola Cesaroni che non sa dove si trovi quell’ufficio.  È vero?  È quello che i giudici stanno cercando di scoprire ascoltando gli ex colleghi di Simonetta, altri teste di oggi. “Una volta lei ricevette in ufficio, in mia presenza, una telefonata di Volponi”, ha riferito Luciano Menicocci, ragioniere dell’Aiag che aveva insegnato alla ragazza ad inserire i dati della contabilità nel computer.

Il processo contro Raniero Busco, che ora è sposato e ha due figlie, è iniziato lo scorso 3 febbraio. A venti anni di distanza dal delitto. L’uomo, grazie ad un alibi, per molto tempo non è entrato nelle indagini. Fino a quando, tre anni fa, è stata scoperta una traccia della sua saliva sul corpetto che Simonetta indossava quando fu uccisa. Inizialmente, le attenzioni degli investigatori s’incentrarono su Pietrino Vanacore, portiere del palazzo di via Poma, e Federico Valle, nipote di un architetto che abitava in quello stabile. Entrambi furono prosciolti. Vanacore avrebbe dovuto testimoniare anche in questo processo. È morto un mese fa, il 9 marzo. “Vent’anni di sofferenze portano a questo”, ha scritto su dei biglietti prima di suicidarsi.

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