La Suprema Corte ha confermato la multa di 400 euro inflitta a un 71enne per il reato di ingiuria. L'uomo è stata condannato per aver offeso in una lettera un suo collega facendo riferimenti alle tendenze omosessuali
Dare del gay ad una persona è reato. La Cassazione dice basta alle denigrazioni nei confronti degli omosessuali e ricorda che tale condotta può sfociare in una condanna per ingiuria.
La Suprema Corte affronta l'argomento nell'ambito di un procedimento aperto nei confronti di un 71enne che, in una lettera, aveva offeso un uomo ricordandone "il suo essere gay" in riferimento a una vacanza che il destinatario della missiva aveva fatto in montagna con un marinaio e il suo allontanamento da un club sportivo frequentato da ragazzini.
Il tribunale di Ancona, in sede di rinvio (durante il primo processo d'appello l'imputato era stato assolto, ma il verdetto era stato annullato dalla Cassazione), aveva condannato il 71enne a 400 euro di multa per il reato di ingiuria, rilevando che le espressioni usate dall'imputato nella lettera "esprimevano riprovazione per le tendenze omosessuali" e un inequivoco e intrinseco intento denigratorio riferito all'allontanamento da un luogo frequentato da minori.
La prima sezione penale della Suprema Corte, con la sentenza 10248 ha dichiarato inammissibile il ricorso dell'imputato contro la sentenza di appello bis, rilevando che "correttamente" il tribunale di Ancona ha "svolto la sua funzione inquadrando per un verso il termine 'gay' utilizzato nella lettera agli episodi che la sentenza annullata aveva omesso di considerare, la vacanza con il marinaio e l'allontanamento dal club frequentato da minori e valutando le ulteriori accuse, presenti nella missiva ritenuta offensiva, come denigratorie, con giudizio di merito, logicamente motivato".
Nella lettera, infatti, l'imputato accusava anche la parte offesa di sottrazione di documenti pubblici dagli uffici municipali di Ancona, nell'ambito di una abusiva cancellazione di contravvenzioni, nonché di aver favorito in un concorso pubblico la nipote dell'imputato. Per la Cassazione, il ricorso dell'imputato non può essere accolto neanche in relazione al fatto che tra le parti esistevano "rapporti tesi", che avrebbero potuto, secondo il ricorrente, portare al riconoscimento della scriminante della provocazione: ciò, si legge nella sentenza, "è in contraddizione con il tempo trascorso rispetto ai fatti indicati come provocatori, poiché una lettera inviata dopo un giorno da essi, col corollario del tempo necessario per concepirla e scriverla, escludono in radice il concetto di immediatezza.
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