Viaggio dentro Casa Vidas, l'hospice per i malati terminali

Cronaca
Una delle camere dell'hospice casa Vidas di Milano
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"Quando il male si abbatte in questo modo rischia di travolgere tutto: relazioni, affetti, trascorsi di vita quotidiana", racconta Emma, moglie di un paziente della struttura di Milano. Che una volta le ha detto: "Mi avete fatto operare per farmi morire"

di Filippo Maria Battaglia

“Tutto è iniziato con un’emorragia. Poi la trasfusione, il ricovero in ospedale fino a quando, dopo analisi dettagliate, hanno trovato un tumore allo stomaco in fase avanzata”.
Emma ha 71 anni, suo marito ne ha un paio in più ed è uno dei malati terminali ricoverati nell’hospice Casa Vidas, una delle strutture sanitarie residenziali di Milano convenzionate con la regione Lombardia.
Il suo caso non è isolato. In Italia, secondo le ultime rilevazioni, ci sono 8 malati terminali ogni 100.000 abitanti. Un dato significativo che, a un anno dalla morte di Eluana Englaro, pone interrogativi sul trattamento del fine-vita e sulle cure palliative, temi su cui il parlamento ha da tempo annunciato un intervento e che tuttavia sono ancora in fase di discussione e approvazione (dopo le ultime modifiche al Senato, a giorni il ddl sulle cure palliative dovrebbe tornare per l'approvazione definitiva alla Camera, che si era già espressa favorevolmente cinque mesi fa).

“Ho dovuto affrontare un tumore al seno, la morte di un figlio, i miei problemi di cuore e quelli con l’alcol di mio marito” racconta Emma a Sky.it. “Anche per questo, da più di dieci anni, siamo separati. Viviamo uno di fronte all’altro, in due piccoli appartamenti alla periferia di Milano. Il suo è un monolocale di diciassette metri quadri. C’è lo spazio sufficiente per un cucinino, un piccolo bagno e un letto. Senza quest’assistenza, non avremmo saputo cosa fare”.
Adesso, Vincenzo (il nome è di fantasia) “è sedato, da tempo non è consapevole di ciò che ha, ma è abbastanza lucido da avermi detto ‘mi avete fatto operare per farmi morire’. Quando la malattia si abbatte in questo modo rischia di travolgere tutto: relazioni, affetti, trascorsi di vita quotidiana, facendo esplodere i vecchi conti in sospeso, i rancori mai sopiti. Ed infatti oggi, mio marito, non riesco più a chiamarlo per nome, ma solo per cognome”.

La Casa Vidas, dove è ricoverato Vincenzo, è uno dei dieci hospice di Milano. Ha venti posti letto: solo dodici sono accreditati, gli altri otto ospitano malati grazie alla generosità di privati (Vidas è un’associazione no-profit che da 28 anni garantisce assistenza socio-sanitaria gratuita ai malati terminali, clicca qui per avere informazioni sulle donazioni).
Secondo l’ultima rilevazione del 2009 sugli hospice in Italia, condotta dalla Società italiana di cure palliative e in fase di pubblicazione, nel capoluogo lombardo sono 97 i posti letto accreditati con la regione destinati all’assistenza ai malati terminali. Un dato apparentemente adeguato alle necessità, se si considera che per questo tipo di patologie occorrono mediamente 6 posti letto ogni 100.000 abitanti.

“Il problema – spiega Furio Zucco, direttore del dipartimento anestesia-rianimazione, cure palliative, terapia del dolore dell’ospedale Salvini di Garbagnate - nasce dal fatto che questo indice riguarda solo i malati oncologici. In Italia, però, ci sono almeno altri 70.000 pazienti caratterizzati da una fase avanzata e terminale che non trovano quasi mai assistenza e ricovero negli hospice”.
Il motivo? “Occorrono maggiori risorse e competenze diversificate” rispetto ai malati di tumore. Se si considerano anche loro, la percentuale sale a 8 posti letto ogni 100.000 abitanti e “anche la stessa città di Milano, che in tale ambito è senz’altro una delle realtà più avanzate, resta inadeguata a coprire quest’esigenza. Per ciò – continua il medico, che ha curato la rilevazione Sicp del 2009 - è necessario che a livello nazionale i posti letto aumentino del 30% e che contestualmente si implementi l’assistenza domiciliare diretta 24 ore su 24. Altrimenti il rischio di mancato sostegno non sarà confinato solamente a un dato teorico o di studio, trasformandosi in un problema quotidiano sempre più difficile da risolvere”.

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