Anoressia, Isabelle Caro: La ragazza che non voleva crescere

Cronaca
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La 27enne, testimonial della campagna shock di Oliviero Toscani, si racconta in un libro autobiografico. E il suo è "un grido" per rendersi visibile a un padre assente, ma anche una "guerra di dimostrazione per la vita"

di Chiara Ribichini

“Se c’è qualcuno in sala che sta male può venire da me, non abbiate paura di parlare perché parlare è il primo passo per guarire”. E’ l’invito che Isabelle Caro rivolge alle ragazze sedute tra il pubblico al termine della presentazione del suo libro La ragazza che non voleva crescere (Cairo Editore), alla Feltrinelli di Corso Buenos Aires a Milano. Un’autobiografia, la storia della sua battaglia quotidiana contro l’anoressia. Isabelle infatti non è ancora guarita, ma ha scelto di farlo. La sua è una “guerra di dimostrazione per la vita”, come lei stessa la definisce, in nome di tutte le adolescenti che si sono viste rappresentate dalla sua foto che, due anni fa, campeggiava sui manifesti pubblicitari di un noto marchio di jeans. La campagna portava la firma di Oliviero Toscani. Un’immagine shock, che suscitò fortissime polemiche. E che legò per sempre il volto di Isabelle all’anoressia.

“Quando avevo 25 anni pesavo 25 kg. Sono entrata in coma. Quando ho fatto la campagna per Toscani ne pesavo 30. Lo scorso anno la mia bilancia segnava 33 chili. Oggi, a 27 anni, sfioro la soglia dei 40”. I grandi occhi azzurri, la pelle del volto tirata dall’eccessiva magrezza, le lunghe mani sottili, i capelli corti fermati con qualche molletta, Isabelle quando parla della sua sofferenza ha un tono delicato, pacato, come se usasse il pedale di risonanza del pianoforte per smorzare il suono. E non c’è mai una titubanza, un’esitazione, ma frasi secche e decise.
“Io e mamma siamo state abbandonate nella miseria e nella disperazione totale. La sua paura di vedermi crescere io l’ho interpretata come un non dover diventare donna”. E confessa: “Non sono mai riuscita a staccare il cordone ombelicale con mia madre e il rapporto con lei è stato difficile da scrivere. Oggi mi sono imposta di vedere mia mamma solo quando strettamente necessario”.

Più che la madre, la figura centrale nella vita di Isabelle è il padre. O, meglio, il suo non esserci. “Ho scoperto chi fosse il mio vero padre quando avevo 18 anni. Lui non mi ha mai cercato. La mia è stata una attesa senza fine”. La malattia, il manifesto di Toscani e ora il libro sono “una sorta di grido”, un modo per urlargli: io ci sono. “Non ho avuto risposta, ma è lì che ho deciso di uscire dall’anoressia. Non si tratta di una vendetta, ma di una resa per guarire”. E aggiunge: “Quando è uscito il libro, mi ha chiamato la mia sorellastra per dirmi di non cercarlo. Mi ha fatto molto male, ma è quello che mi ha spinto a riprendere peso”.
Non c’è rancore nelle parole di Isabelle, solo sofferenza. E a tratti, nei momenti di silenzio, il suo sguardo sembra perdersi e intimorirsi. Ma non è così. Isabelle conosce a fondo le sue paure: “E’ importante non essere giudicati. Uno dei problemi che ho incontrato negli ospedali è stato proprio il giudizio”. Paure che oggi supera con le passioni e i progetti: l’amore per il teatro, per la natura, il desiderio di avere bambini, ma soprattutto la scrittura. “Quando ero in ospedale avevo già iniziato a scrivere brevi frammenti. Dopo il coma ho iniziato a scrivere sul blog, lo facevo per me. Poi sono arrivate tante domande ma non potevo raccontare tutto su Internet. Da lì l’idea del libro”.

Quanto alla campagna di Oliviero Toscani, oggi Isabelle esiterebbe a rifarla. “Mi ha reso la vita difficile. Le persone non vedono altro, per strada molti mi chiedono se sono io la protagonista di quel manifesto, altri mi domandano quanto peso. Una volta una mamma mi ha chiesto se potevo darle le mie analisi perché la figlia voleva utilizzarli per una tesina sull’anoressia”. E il suo libro inizia proprio con il ricordo di quella campagna. “Sul cartellone c’è la foto di una donna. O, almeno, di una creatura di sesso femminile, a giudicare dalle due piccole sacche di pelle rugosa che pendono al posto dei seni. Sì, perché di fronte all’obiettivo c’è una creatura completamente nuda. Seduta su uno sfondo grigio sfumato, una gamba allungata e l’altra leggermente piegata in modo che solo il pube sfugga allo sguardo. Le ossa, in compenso, si vedono bene. Mi fa vergognare questa foto, perché è la mia foto”.

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