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Microplastiche, cosa sono e quali danni causano ad ambiente e salute

Ambiente
(Foto: Getty Images)

Le piccolissime particelle sono comprese tra i 5 millimetri e 330 micrometri. Derivano da fonti diverse: abbigliamento, processi industriali, prodotti cosmetici. Secondo gli studi più recenti, dal 20 al 30% dei pesci nel Mediterraneo ne sono contaminati

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Sono talmente piccole da risultare spesso invisibili all'occhio umano, si trovano nei nostri indumenti, nei prodotti cosmetici e possono provenire da tanti processi di origine industriale. Sono le microplastiche: minuscole particelle di materiale plastico, prodotte dall’uomo, di dimensioni convenzionalmente comprese tra i 5 millimetri e 330 micrometri. Come è stato già dimostrato, sono presenti in grandissime quantità nell’ambiente, specialmente quello marino, risultando potenzialmente nocive per la nostra salute (SKY UN MARE DA SALVARE).

Classificazione delle microplastiche

Oltre che per dimensione, le microplastiche possono essere classificate anche in base alla loro formazione e alla loro composizione. Nel primo caso, troviamo due categorie di microplastica: la primaria, ovvero quella prodotta direttamente dall'uomo, e la secondaria, cioè le particelle che derivano dalla frammentazione di rifiuti o fibre plastiche più grandi già presenti nell’ambiente. Di solito, le microplastiche che fanno parte della categoria primaria hanno forme appiattite, cilindriche, sferoidali o discoidali, mentre le secondarie, poiché sono il risultato di una disgregazione di materiale più grande, hanno una morfologia più irregolare. Per quanto riguarda invece la suddivisione per composizione, a comporre la maggior parte delle microplastiche sono il polietilene, ovvero il più comune dei prodotti plastici-sintetici, il polipropilene, il polistirene, il polietilene tereftalato e il polivinilcloride. Nella quasi totalità delle particelle ritrovate, le fonti originarie di quelle secondarie sono i prodotti utilizzati dall’uomo come bottiglie, bicchieri, piatti e posate di plastica, reti da pesca, pellicole e contenitori di cibo.

Come si producono le microplastiche

Ogni essere umano, senza saperlo e senza rendersene conto, produce ogni giorno grandi quantità di particelle plastiche. Per esempio, molte di queste derivano direttamente dagli abiti che indossiamo, perché sono composti da poliestere e altre fibre sintetiche che, staccandosi dai nostri indumenti, si disperdono nell’ambiente. Lavare una sola maglietta sintetica in lavatrice può produrre 1.900 microplastiche, ma sono tantissime le attività umane che rilasciano nell’ambiente quantitativi di particelle piuttosto elevati. Tra questi, lo scrub facciale, l'uso di alcuni shampoo e saponi, l'uso dell'eyeliner, della crema solare, di detergenti esfolianti, ma anche di dentifricio e spazzolino: basta infatti lavarsi i denti per produrre microplastiche.

Dove si trovano le microplastiche

Uno studio condotto dall’associazione no profit Orb Media, i cui dati sono stati pubblicati dal Guardian, ha riscontrato la contaminazione di microplastiche nell'acqua di rubinetto dei Paesi di tutto il mondo. I test sull’acqua di oltre dieci nazioni sono stati analizzati dagli scienziati che hanno certificato come l'83% dei campioni sia contaminato da fibre di plastica. Gli Stati Uniti hanno il più alto tasso di contaminazione, al 94%, con fibre di plastica trovate nell'acqua di rubinetto campionata in numerosi siti tra cui gli edifici del Congresso, il quartier generale dell'Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti e anche la Trump Tower di New York. Tra le nazioni europee, Regno Unito, Germania e Francia hanno il più basso tasso di contaminazione, che comunque raggiunge il 72% delle acque campionate. In base a quanto riportato dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) nel 2017, neppure l'Italia è esente dall'inquinamento da microplastiche: il Mediterraneo è infatti uno dei mari più inquinati al mondo, tant’è che vi si concentra il 7% delle particelle di plastica a livello globale. Dati confermati anche dai campionamenti effettuati da Greenpeace nell'estate del 2017, secondo cui il livello di microplastiche presente nelle acque marine superficiali italiane è paragonabile a quello dei vortici oceanici nel Nord Pacifico

Come le microplastiche influiscono sulla salute umana

Sono numerosi gli studi che hanno come obiettivo quello di dimostrare la pericolosità delle microplastiche per la salute umana. Come ha dichiarato il dottor Sherri Mason, un esperto di microplastica presso la State University di New York in Fredonia, che ha supervisionato le analisi per Orb: "Abbiamo abbastanza dati da guardare alla fauna selvatica, e gli impatti che sta avendo su di essa, per essere preoccupati. Se sta influenzando la fauna selvatica, allora come pensiamo che non avrà alcun impatto su di noi?". Come conferma il dossier pubblicato da Greenpeace, la presenza delle microparticelle è stata documentata in organismi differenti e con diverse abitudini alimentari: dalle specie planctoniche agli invertebrati, ma anche nelle creature marine più grandi come cetacei e predatori. Nello specifico, il rapporto pubblicato prende in considerazione oltre 200 organismi tra quelli più pescati e più consumati quali acciughe, triglie, merluzzi, gamberi e cozze. Da questi dati emerge come una percentuale che va dal 25 al 30% dei pesci e degli invertebrati conteneva microplastiche, specialmente il polietilene, il polimero dei prodotti usa e getta. Inoltre, è stato dimostrato come le microplastiche si trovino non soltanto nei pesci che poi finiscono sulle nostre tavole, ma anche nel sale da cucina comunemente utilizzato per condire i pasti.