Nizza, chiusa la conferenza sugli Oceani: ecco cosa è stato deciso

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Alberto Giuffrè

Alberto Giuffrè

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In Costa Azzurra finisce l’appuntamento delle Nazioni Unite dedicato ai mari: manca poco all’entrata in vigore del trattato sulle acque internazionali. Nei prossimi giorni potrebbero arrivare le firme necessarie (manca ancora l’Italia). Francia e Brasile lanciano una sfida al resto del mondo: inserite l’oceano nei piani per il clima

Con la bandiera che si abbassa al tramonto sul porto di Nizza si chiude la terza conferenza delle Nazioni Unite dedicata agli Oceani. Sessanta capi di Stato e di governo, oltre ai delegati da tutto il mondo, lasciano la Costa Azzurra. Se ne vanno dopo avere cercato per una settimana di riportare i mari al centro dell’attenzione. Nonostante le guerre, le tensioni geopolitiche e la diffidenza verso la scienza che arriva dagli Stati Uniti (che qui hanno partecipato soltanto come osservatori). Non c’era un documento finale da approvare ma promesse da mettere nero su bianco: politiche e finanziarie. Per rispettare quell’obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Quello che riguarda la salute del mare e, di conseguenza, le vite umane e gli impatti sulle economie di tutto il mondo.

Il trattato sull’alto mare

Tra i passi avanti che sono stati fatti, le firme per ratificare il Trattato sull’Alto Mare. Un documento approvato due anni fa dalle Nazioni Unite ma che, per entrare ufficialmente in vigore e diventare giuridicamente vincolante, deve essere ratificato da almeno sessante Paesi. Molte firme sono arrivate durante i giorni di Nizza, ne mancano ancora poche per raggiungere il traguardo (qui la lista di chi c’è). All’appello, per il momento, manca anche l’Italia.

Cosa dice il trattato

Il trattato si concentra sulla protezione della biodiversità marina nelle acque internazionali. Zone che si trovano al di fuori della giurisdizione dei singoli Paesi e che costituiscono quasi due terzi dell’oceano (e circa la metà della superficie del pianeta). Il trattato fornisce un quadro giuridico per istituire aree marine protette o applicare misure di conservazione in luoghi minacciati dalla pesca eccessiva e dai rischi dell’estrazione mineraria (il cosiddetto deep sea mining).

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Le promesse dell’Unione Europea

L’Unione Europea ha promesso 40 milioni di euro per sostenere la ratifica del Trattato e 1 milione di euro per “rafforzare il collegamento tra scienza e politica”. In vista dell’appuntamento di Nizza ha presentato anche un nuovo OceanPact.

La sfida di Francia e Brasile al resto del mondo

Tra gli annunci, quello del presidente Macron che ha promesso la creazione di una delle più grandi reti di aree marine protette al mondo, con un obiettivo di 4 milioni di km². Sempre la Francia, insieme al Brasile, ha lanciato la Blue NDC Challenge invitando tutti i Paesi a mettere l’oceano al centro dei loro piani climatici in vista della Cop30, la prossima conferenza sul clima che si terrà a Belem. A dieci anni dall’accordo di Parigi.

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L’appello sulla plastica

Da Nizza è arrivato poi un segnale importante. Un appello lanciato da oltre 90 Paesi che ribadiscono la loro ambizione di porre fine all’inquinamento da plastica. Se sarà servito a qualcosa lo vedremo ad agosto, in Svizzera. Lì riprenderanno i colloqui dopo il negoziato fallito in Corea del Sud a gennaio “perché – ricorda il WWF – diversi Paesi produttori di petrolio hanno continuato ad abusare delle regole del trattato volte a raggiungere il consenso, rifiutandosi di superare le divisioni”.

Gli altri impegni

Nei giorni della conferenza abbiamo anche assistito all’impegno della Germania che promette di contribuire con 9,95 milioni di euro al Blue Action Fund. Obiettivo: sostenere gli sforzi globali a favore della biodiversità marina. Il Regno Unito, invece, ha aggiunto 4 milioni di sterline al Global Fund for Coral Reefs (portando il suo contributo totale a 40 milioni di sterline) e 2,8 milioni di sterline a sostegno delle economie blu dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo. La Norvegia, infine, si è impegnata a destinare 2,1 milioni di dollari per combattere l’inquinamento marino in India. “La vera prova – ha spiegato il rappresentante Onu in conferenza stampa – non è ciò che abbiamo sentito dire qui, ma ciò che faremo dopo”.

Una immagine diffusa il 28 aprile 2016 dall'ufficio stampa di Greenpeace, riguardante l'attività della sua nave Esperanza, che ha raggiunto l?Oceano Indiano, dove è impegnata in una spedizione pacifica per fermare le pratiche di pesca di Thai Union, il colosso mondiale del tonno in scatola, proprietario anche del marchio italiano Mareblu. ANSA / US GREENPEACE
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