Per salvare il Pianeta occorre ripartire dal Sud del Mondo

Ambiente
Federica De Lillis

Federica De Lillis

Delegati dai Paesi più colpiti dal cambiamento climatico e dallo sfruttamento delle risorse sono arrivati in Italia, al primo Congresso mondiale per la giustizia climatica, con nuove prospettive per salvare la Terra 

Immaginate di trovarvi nel vostro bosco o parco preferito e che a un certo punto venga raso al suolo perché sotto potrebbe esserci del petrolio. Pensate di aver ereditato dalla vostra famiglia un terreno che le appartiene da generazioni e che qualcuno vi dica che in realtà non è vostro. 

Pedro e Rosa Marina sanno bene di cosa si tratta. Vengono rispettivamente dall’Ecuador e dal Messico e sono arrivati in Italia per partecipare al primo Congresso mondiale per la giustizia climatica che si tiene a Milano dal 12 al 15 ottobre. 

Uno sviluppo più sostenibile, secondo gli attivisti, deve essere anche equo e rispettoso di tutti i popoli, per questo al centro del Congresso si trova la voce di delegati provenienti soprattutto dal ‘Sud del mondo’, un concetto non solo geografico.

“Possiamo descrivere il Global South come la parte del mondo da cui il Nord prende tutto: i minerali, il petrolio, l’acqua, persino i fertilizzanti per le piante e i saperi delle comunità indigene.” dice Pedro Bermeo del collettivo ecuadoriano YASunidos. Ne fanno parte i paesi dell’Africa, del Sud e Centro America e alcuni stati dell’Asia. Sono queste aree che oggi sperimentano i più devastanti effetti del cambiamento climatico pur avendo contribuito in minima parte al totale delle emissioni globali e allo sfruttamento delle risorse.  

Spesso questi stessi Paesi pagano le conseguenze di un sistema economico energivoro che avanza senza sosta, a scapito di chi da secoli preserva la vera ricchezza del Pianeta. 

Un’iniziativa democratica per valorizzare la voce dei popoli indigeni

Pedro Bermeo ha 33 anni, di cui dieci dedicati alla difesa del territorio dei popoli indigeni dell’Ecuador. “È divertente perché ero un fotografo e lavoravo molto con la natura ma attraverso i dieci anni di battaglie, sono diventato un avvocato.”

L’associazione di cui è parte, YASunidos, nel 2013 ha iniziato una campagna per un referendum che impedisse nuove trivellazioni nella riserva naturale di Yasunì, nella foresta Amazzonica. 

“Le comunità indigene dal Sud del Mondo e, nel mio caso, dall’Ecuador, stanno proteggendo l’80 percento della biodiversità pur rappresentando solo il 5 percento della popolazione mondiale.” racconta il delegato. 

YASunidos ha ottenuto la sua più grande vittoria nell’agosto 2023, quando il 58,9% degli ecuadoriani ha votato per bloccare le distruttive attività fossili nella terra dei popoli incontattati nel Parco nazionale Yasuní. 

“Siamo qui per condividere l’esperienza del nostro Paese e del primo referendum per lasciare il petrolio sottoterra. I politici spesso non ascoltano gli scienziati sugli effetti del cambiamento climatico e delle volte ci si chiede, perché allora dovrebbero ascoltare gli attivisti? Abbiamo dimostrato che è possibile aggirare la politica attraverso un’iniziativa democratica. Abbiamo protetto il territorio degli Isolated Indigenous e allo stesso tempo abbiamo attivato un meccanismo per bypassare la politica e salvare la Terra.” 

Il successo della campagna, secondo Bermeo, si deve a una sensibilità diffusa tra la popolazione ecuadoriana che trova la sua massima espressione nella costituzione del 2008 che riconosce alla Pachamama, madre Terra nella lingua locale, il diritto a essere integralmente rispettata e restaurata laddove sia stata violata. “Siamo la prova che si possono ottenere risultati se facciamo convergere la resistenza per le strade in una procedura legale.”

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Pedro Bermeo - attivista YASunidos
Pedro Bermeo - attivista YASunidos

Il concetto di Milpamerica e il valore della “comunalidad” 

 

La testimonianza diretta dei popoli indigeni è presente al Congresso attraverso il collettivo Futuros Indìgenas, che porta avanti le istanze di 22 comunità indigene del Sud e Centro America. Rosa Marina Flores Cruz arriva dall’Istmo di Tehuantepec, un’area compresa tra l’Oceano Pacifico e il Golfo del Messico. “Vengo dalla comunità dei Binisà. Mia nonna era una donna che ha combattuto per la propria terra, come anche mia madre. Ho 33 anni e da quello che ricordo è tutta la vita che combattiamo, dobbiamo farlo per sopravvivere.” 

Mentre descrive la propria regione, Rosa Marina menziona i venti molto forti che caratterizzano l’Istmo. “Circa 20 anni fa, sono iniziati gli investimenti per la generazione di energia eolica nell’area dove vivono 5 diverse comunità indigene. Gli industriali arrivano e si prendono la terra, e l’energia generata dalle aziende private va ad altri privati.” 

 

Alla fame di risorse che distrugge il territorio, Futuros Indìgenas contrappone il concetto di Milpamerica. La milpa è un antico agrosistema tipico delle regioni mesoamericane che prevede l’associazione di diverse culture, soprattutto mais, fagioli e zucca.  “Per far crescere le piante - spiega Cruz - c’è bisogno del lavoro di tutta la famiglia, di uomini, donne, bambini e dell’aiuto del vento, della pioggia, degli animali che impollinano. È un sistema complesso che condividiamo nel Sud e nel Centro del continente adesso chiamato America. In quanto popoli indigeni da Messico, Guatemala, Honduras, El Salvador e Costa Rica ci identifichiamo in questo concetto non solo perché abbiamo in comune la lotta contro le estrazioni minerarie, le trivellazioni e gli effetti del cambiamento climatico, ma anche perché insieme stiamo cercando di recuperare il contatto con i nostri antenati e con la nostra spiritualità, per questo lavoriamo e prendiamo tutte le decisioni in modo collettivo.” 

Rosa Marina Flores Cruz - attivista Futuros Indìgenas

Il rapporto che i popoli indigeni hanno con la natura per Rosa Marina può essere riassunto nella parola “deghéndaràcane”. “Rappresenta il lavoro che tutti possono fare insieme e quando parliamo di ‘stare insieme’ dobbiamo realizzare che non facciamo riferimento solo agli esseri umani.” 

Questo messaggio per l’attivista ha una portata universale. “Occorre recuperare la nostra ‘comunalidad’. Tutti hanno degli antenati custodi di una tradizione e tutti stanno combattendo per la propria terra. Che sia una battaglia per preservare le Alpi, per proteggere una laguna nel centro di Roma, tutti stiamo facendo i conti con il cambiamento climatico. Le persone che stanno vivendo e difendendo la loro terra, i loro fiumi, le loro foreste sono soluzioni viventi alla crisi climatica.” 

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