Ladroni, pajate e ministeri: è guerra nella maggioranza

Politica
di meo

La rinnovata proposta di spostare i dicasteri al Nord rompe la tregua tra Bossi e Alemanno siglata con un pranzo lo scorso autunno. Mentre Berlusconi cerca di mediare, parte del Pdl vuole il voto in Parlamento. E La Padania titola: "Prendere o lasciare"

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"Quella pajata amara, ad Alemanno continua ad andare di traverso". Qualcuno dal Pd maliziosamente lo fa notare. Altro che pace sull'asse Roma-Pontida: il pranzo di riconciliazione tra Gianni Alemanno e Umberto Bossi andato in scena otto mesi fa, davanti a Montecitorio, era una tregua destinata a durare il tempo di un pasto, o poco più. Perché per il Carroccio "Roma ladrona" è sempre stata indigesta. E i leghisti non avevano nessuna intenzione di seppellire l’ascia di guerra. Tant’è che la campagna per lo spostamento dei ministeri al Nord non ha mai conosciuto tregua. E oggi, dopo Pontida, si è trasformata in scontro aperto. Capace di minare anche la tenuta del governo ("Prendere o lasciare", titola in prima pagina La Padania di martedì 21 giugno).

“Guerra santa contro Roma ladrona”, tuonava Bossi nel 1999, usando un’immagine cara alla Lega fin dalle origini. Ben poca meraviglia, perciò, quando a settembre del 2010 il Senatur, incurante della poltrona di ministro occupata nella capitale, tra i suoi militanti ha sbottato: “Sono porci questi romani”.

Apriti cielo: il sindaco Alemanno ha chiesto che fosse riparata l’offesa. Di qui, dopo giorni di polemiche, le scuse del ministro e l’ormai famoso pranzo della pace: attovagliati sotto gazebo allestiti all’occorrenza proprio davanti alla Camera, Bossi, Alemanno e Renata Polverini assaporarono pajata e polenta, coda alla vaccinara e parmigiano reggiano, per sugellare con un sodalizio culinario l’armonia ritrovata (GUARDA LE FOTO). Ma già quel giorno in piazza gli opposti sostenitori si erano fronteggiati: “Padania libera”, gridava qualcuno dei militanti in verde, “I soldi ve li magnate voi, siete dei maiali”, rispondevano i supporter capitolini.

Insomma, facile presagio pronosticare una debole tregua. Tanto più che il Carroccio si mostrava già allora deciso a non abbandonare la sua ultima battaglia, per lo spostamento dei ministeri al Nord. E a Natale Roberto Calderoli mandava bigliettini d’auguri con la richiesta a “Gesù bambino” di “tanti ministeri in Padania”.

Quella proposta Alemanno ha provato a bloccarla una prima volta, quando già Bossi si preparava a presentare le sedi di due o tre dicasteri come regalo elettorale ai milanesi, in vista del ballottaggio Moratti-Pisapia. Dopo le urla del sindaco, si era ripiegato sullo spostamento dei soli uffici di rappresentanza. Poi domenica, dal pratone di Pontida, il rilancio in grande stile, con tanto di indicazione della futura sede di tre o forse quattro ministeri nella villa Reale di Monza (e l’accusa a Berlusconi di essersi “cagato sotto”, dopo aver promesso quello spostamento).

Da quel momento, è guerra aperta. Neanche la tenuta del governo è prezzo troppo pesante da pagare, secondo il sindaco di Roma, pur di stoppare i propositi di “smembramento” della capitale messi in campo dalla Lega: “Se il governo tiene, bene. Se cade ne prenderemo atto”, ha tagliato corto. Mentre la governatrice del Lazio Polverini lanciava una petizione da contrapporre alla proposta di legge popolare sul trasferimento delle sedi presentata dalla Lega. E così i due si sono ritrovati, a otto mesi dal “pranzo della pajata”, a pochi metri da piazza Montecitorio, sotto l’ombra del Pantheon, a raccogliere firme contro la Lega e i suoi propositi. “Non mi pento di quel pranzo – ha detto Polverini – Oggi sarebbe difficile ripetere quella iniziativa, ma magari tra un po’ ci riproveremo”.

Ma le cose sembrano andare in tutt’altra direzione, anche perché Alemanno si è fatto promotore di un ordine del giorno da proporre già nella giornata del 21 giugno al voto del Parlamento, per dire no allo spostamento dei ministeri.

Ad accelerare i tempi di un voto alla Camera è stato il Pd, che con il capogruppo Dario Franceschini ha messo sul piatto un ordine del giorno al dl Sviluppo, in corso di approvazione. Una mossa per mettere a nudo le divisioni nella maggioranza, ma soprattutto stoppare quello che Pier Luigi Bersani ha definito un atto di “accattonaggio” della Lega. Anche il Terzo Polo, che con Casini ha definito una “buffonata” l'iniziativa leghista, ha deciso di presentare un suo odg contro il trasferimento. Mentre l'Idv di Antonio Di Pietro ha depositato una mozione.

Il testo del Pdl contro il trasferimento delle sedi può raccogliere, secondo Alemanno, il “90% di consensi” bipartisan, senza “spaccare il partito”. Ma è la frattura rispetto alla Lega, quella che Berlusconi stesso teme, nelle ore in cui lima il discorso alle Camere che dovrebbe rilanciare l'attività di governo e l'alleanza col Carroccio. Dallo stesso Pdl si sono levate voci per invitavare perciò alla prudenza Alemanno e Polverini.

Ma i due, spalleggiati da uno stuolo di parlamentari romani, vogliono andare allo scontro. Di qui un estremo tentativo dei vertici Pdl di mediare su un testo che possa risultare non troppo indigesto al Carroccio, pur riaffermando il principio che i ministeri stanno e restano nella capitale. A sciogliere il nodo potrebbe essere Berlusconi in persona. E il punto di caduta, secondo qualcuno, potrebbe essere quello di ribadire l'intesa già prima di Pontida raggiunta: lo spostamento di soli uffici di rappresentanza. In quel caso la componente romana del Pdl potrebbe anche essere disposta ad accettare. Ma che altrettanto faccia la Lega, appare niente affatto scontato.

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