Sulla via del ritorno dall'Asia, Francesco ricorda l'incontro con i profughi, che in Myanmar sono una minoranza islamica e senza cittadinanza, e lancia un monito sul nucleare: si rischia la fine dell'umanità
La parola Rohingya "l'avevo già pronunciata a Roma", nel viaggio in Asia mi interessava che passasse il messaggio, "che è passato", e "non ho negoziato la verità”. Queste le parole del Papa che, tornando a Roma da Dacca, fornisce una serie di dettagli sia sui retroscena che sui suoi sentimenti nell'incontro con i Rohingya e con il capo dell'esercito del Myanmar.
“Ho pianto per i Rohingya”
Bergoglio non nasconde poi di non aver apprezzato il martellamento dei media americani e inglesi affinché chiamasse i Rohingya per nome anche in Myanmar, come poi ha fatto in Bangladesh, dove non si è limitato a nominarli ma ha chiesto loro perdono a nome dell'umanità intera: di chi li perseguita con grande violenza e di chi assiste indifferente. "Se avessi detto quella parola sarebbe stato come sbattere la porta in faccia. Invece ho descritto nei discorsi tutta la situazione, parlando dei diritti di tutti i cittadini, che vanno cioè riconosciuti a tutti. E sono andato oltre, nei colloqui. Sono soddisfatto. Non ho sbattuto la porta e il messaggio è arrivato".
“Li volevano cacciare dal palco”
In volo, al termine del 21esimo viaggio internazionale, ha poi raccontato di aver pianto quando ha salutato i Rohingya, che in Myanmar vengono chiamati bengala del Rakhine e sono una minoranza islamica, senza cittadinanza. “Li volevano cacciare dal palco e mi sono arrabbiato”, ha aggiunto. Dopo aver sentito le loro storie una per una, grazie all'interprete, "non potevo lasciarli andare senza dire una parola - ha spiegato Francesco – Ho chiesto il microfono ho cominciato a parlare, non ricordo cosa ho detto, ma so che a un certo punto ho chiesto perdono, cosa ho sentito? Io piangevo, cercavo che non si vedesse, loro pure piangevano". Riguardo alle infiltrazioni terroristiche in questa minoranza islamica, il Papa chiarisce: "C'erano gruppi terroristici che cercavano di approfittare dei Roingya che sono gente di pace. Ci sono sempre gruppi fondamentalisti nelle religioni. Anche noi li abbiamo”.
Nucleare: siamo al limite della liceità
Per sua precisa indicazione, il Pontefice ha preferito rispondere a una sola domanda sul nucleare. "Siamo al limite - ha detto - e mi faccio questa domanda non come magistero pontificio, ma la domanda che si fa un Papa è: oggi è lecito mantenere gli arsenali nucleari come sono? Oggi per salvare il creato, l'umanità, non è necessario tornare indietro?". Pensiamo a “Hiroshima e Nagasaki, gli incidenti dell' Ucraina, a questo tornare alle armi, che se nucleari sono per vincere ma distruggendo. Io dico, siamo al limite della liceità”.