Dall'Afghanistan alla Somalia: le guerre a colpi di tweet

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Guerriglieri di Al-Shabaab a Mogadiscio, Somalia – Credits: Getty Images
Shabab militia patrol Bakara Market in Mogadishu on October 4, 2009.  At least eight people were killed and 14 wounded in southern Somalia today during clashes between formerly allied rival Somali Islamist groups, witnesses said. The Shebab are a hardline organisation that recently pledged allegiance to Al-Qaeda supremo Osama bin Laden and spearheaded the resistance against Ethiopia's two-year occupation that ended in January AFP PHOTO/ABDURASHID ABIKAR (Photo credit should read ABDURASHID ABIKAR/AFP/Getty Images)

Gli Hetzbollah in LIbano, i talebani a Kabul e Al-Shabaab a Mogadiscio sono più che mai attivi sul sito di microblogging. E di recente hanno attirato le attenzioni di ufficiali statunitensi e israeliani. Che chiedono di sospendere i loro account

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di Nicola Bruno

Si fa presto a dire che i social media - e Internet in generale - siano un’arma di costruzione di massa, degni addirittura del Premio Nobel per la Pace. Se nessuno mette in dubbio che Facebook, Twitter e gli altri servizi 2.0 siano stati centrali nelle recenti rivolte nel Mediterraneo, altrettanto importante sta diventando il loro utilizzo nei tanti conflitti ancora in corso in Africa e Medio Oriente. Dove le parti in causa li utilizzano sia come strumenti di propaganda, che come luogo in cui dare vita a vere e proprie “guerre di tweet” con gli avversari.
Da tempo, infatti, diversi gruppi islamici come Al-Shabaab in Somalia, i talebani in Afghanistan e le milizie Hetzbollah in Libano hanno dismesso i panni di organizzazioni non al passo coi tempi, per scendere in campo anche su Twitter. E questo sembra preoccupare non poco alcuni rappresentanti statunitensi e israeliani, che chiedono di sospendere i loro profili per il potenziale rischio “terroristico” che ci sarebbe dietro le loro attività in rete.

TALEBANI IN AFGHANISTAN
- Il caso più noto è quello di Abdulqahar Balkhi, portavoce dei talebani in Afghanistan che racconta in tempo reale gli scontri nel paese in un inglese sciolto e fluente, sottolineando soprattutto le vittime civili e i colpi messi a segno contro i “codardi invasori” (così vengono definite le forze Nato). Spesso, poi, Balkhi non perde l’occasione per intraprendere accessi botta-e-risposta con l’account ufficiale della missione Nato (ISAFmedia), come è accaduto lo scorso settembre durante l’attacco all’ambasciata statunitense a Kabul. I battibecchi si sono ripetuti nelle ultime settimane, come in questo scambio di tweet del 29 Dicembre scorso.



L’attività di @ABalkhi non è sfuggita al Senatore Joe Lieberman, presidente del Comitato per la Sicurezza Interna statunitense, che ha fatto pressioni sul management del sito di microblogging per far rimuovere il profilo dei talebani. Twitter avrebbe però rifiutato l’invito. Sempre su invito di Lieberman, in passato Google ha bloccato i profili YouTube di utenti legati a gruppi estremistici in Iraq.

AL-SHABAAB IN SOMALIA
- Ma a scatenare più polemiche è stata la discesa su Twitter, lo scorso 7 dicembre, del gruppo estremista islamico Al-Shabaab, che dopo la sconfitta dell’Unione delle Corti Islamiche ha preso controllo di larga parte della Somalia, imponendo la legge della sharia e trascinando il paese in una violenta guerra civile. Nonostante sia promotore di uno stile di vita anti-occidentale (le organizzazioni umanitarie europee attive contro la carestia vengono sistematicamente espulse), Al-Shabaab è da circa un mese attiva sul social-network californiano. Anche qui, come per i talebani, a gestire l’account è un utente dall’inglese fluido, che aggiorna i suoi oltre 7mila seguaci sugli scontri in corso con i militari dell’Unione Africana che appoggiano il Governo Federale di Transizione.
Anche qui, poi, non mancano i battibecchi (spesso sarcastici) con gli ufficiali che combattono tra le fila avversarie: di recente, HSMPress ha preso di mira il portavoce dei militari kenyani (anche lui presente su Twitter con l’account @MajorEChirchir).
Se per certi versi può sembrare solo vecchia propaganda che ha trovato nuovi megafoni, non sembrano pensarla così gli ufficiali del Dipartimento di Stato statunitense che, come riportato dal New York Times, stanno prendendo in considerazione la possibilità di far sospendere l’account: la scelta di cinguettare in inglese rappresenterebbe un chiaro segnale che i messaggi sono indirizzati a un pubblico internazionale; in particolare, gli Usa temono che questo profilo possa spingere cittadini occidentali ad entrare tra le fila di Al-Shabaab per portare a termine operazioni terroristiche. Già in passato, infatti, alcuni cittadini statunitensi si sono fatti esplodere in Somalia contro obiettivi del Governo Federale di Transizione.

“Stiamo guardando con attenzione (al profilo, NdR) per capire quali sono i passi da intraprendere” - ha spiegato un ufficiale del Dipartimento di Stato al Nytimes, sottolineando come le agenzie federali siano intervenute più volte per bloccare servizi web usati a scopi terroristici.
Per ora non c’è stata nessuna reazione ufficiale da parte di Twitter. Che non ha, certo, nessun vantaggio a oscurare l’account di Al-Shabaab: una mossa che sarebbe vista come un chiaro segnale di censura per un servizio che si presenta come una piattaforma per la libertà di espressione in tutto il mondo.

HETZBOLLAH IN LIBANO
- Non solo Stati Uniti, comunque. Shurat HaDin (Israel Law Center), Ong israeliana che lotta per risarcire le vittime del terrorismo, ha inviato di recente una lettera a Twitter sottolineando che “fornire servizi di social media a gruppi terroristici è illegale ed esporrà Twitter Inc e i suoi dirigenti a procedure legali e di responsabilità civili per i cittadini americani e non solo vittime del terrorismo portato avanti da gruppi come Hetzbollah e al-Shabaab”. Oltre agli estremisti somali, l’Israel Law Center punta il dito anche contro l’account di Almanarnews legato ad una rete televisiva libanese vicina agli Hetzbollah. Anche qui, per il momento, Twitter non ha rilasciato nessun commento ufficiale, né tantomeno ha bloccato l’account. Chissà fino a quando potrà tacere se è vero che la guerra, dopo esser passata dai campi di battaglia ai cinguettii online, ora potrebbe spostarsi anche nelle aule dei tribunali (come minaccia l’Israel Law Center).

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