Il padre del superlatitante Matteo "disse di aver dato incarico a Vincenzo Virga di eseguire l'omicidio" del giornalista e sociologo, avvenuto nel Trapanese il 26 settembre del 1988
Francesco Messina Denaro, padre del superlatitante Matteo, "disse di aver dato incarico a Vincenzo Virga di eseguire l'omicidio di Mauro Rostagno", giornalista e sociologo ucciso a Valderice nel Trapanese il 26 settembre del 1988. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni della sentenza di conferma dell'ergastolo per il boss Vincenzo Virga, capo-mandamento di Trapani. Questo "particolare", riferito tra gli altri dal collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, "non è per nulla incompatibile con la ricostruzione di come operassero gli organi di vertice di 'cosa nostra' nella deliberazione di omicidi eccellenti", scrivono i giudici della suprema corte. Virga è accusato di essere il mandante dell'uccisione di Rostagno, su input di Messina Denaro, in un contesto decisionale totalmente mafioso che esclude "piste alternative" o "ripensamenti".
La sentenza
Con la sua decisione emessa lo scorso 27 novembre, la Cassazione ha respinto il ricorso del Pg di Palermo e dei familiari di Rostagno (oltre che di altre parti civili come la Presidenza della Regione siciliana, l'Associazione siciliana della stampa e Libera) contro il proscioglimento di Vito Mazzara dall'accusa di essere stato il killer di Rostagno. Mazzara è in carcere all'ergastolo per altri crimini. Chi sparò a Rostagno non è stato ancora identificato.
Per quanto riguarda la condanna di Virga, la Cassazione indica anche altri "elementi positivi" alla base della decisione della Corte di assise di appello di Palermo. Per i giudici il coinvolgimento del boss si desume "nell'assenza, successivamente alla commissione dell'omicidio, di turbamenti sul territorio controllato dal mandamento di Trapani, con la prosecuzione stabile della direzione di Virga che ebbe modo di programmare altri importanti omicidi, dimostrazione logicamente inequivoca della piena adesione all'omicidio di Mauro Rostagno". Indicativo in tal senso, secondo gli 'ermellini', il fatto che "in riferimento a tutti gli omicidi di matrice mafiosa commessi su quel territorio, gli accertamenti penali non hanno mai condotto alla individuazione del mandante in soggetti diversi da Vincenzo Virga".
L'omicidio
Rostagno era arrivato a Trapani negli anni Ottanta dove aveva fondato la comunità per tossicodipendenti Saman insieme all'amico Francesco Cardella e la compagna Chicca Roveri. Giornalista d'inchiesta, seguiva le tracce dei traffici di droga, dei legami tra mafia e massoneria, del malaffare nella pubblica amministrazione. A causa dei suoi interventi dagli schermi di Rtc di Trapani Rostagno era diventato una "camurria" (rompiscatole), così lo aveva definito Francesco Messina Denaro.
Inizialmente nell'inchiesta per omicidio si ipotizzò un delitto scaturito da contrasti all'interno della comunità Saman, tanto che la stessa Roveri fu arrestata e Cardella ricercato. Poi la "pista interna" venne abbandonata e cominciò a prendere consistenza quella di un delitto di mafia.
L'impegno antimafia di Mauro Rostagno
Il verdetto della Cassazione è stato scritto dal presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia che nel ricostruire il delitto ha ricordato "il forte impegno antimafia di Rostagno quale giornalista di inchiesta presso l'emittente televisiva trapanese Radio Tele Cinema, la cui attività poneva in crisi il potere criminale imperante in quel territorio, che faceva capo al rappresentante della provincia Francesco Messina Denaro", e "ai capi-mandamento di Trapani e Mazara del Vallo, rispettivamente Vincenzo Virga e Francesco Messina" detto 'Mastro Ciccio'.