L’episodio risale allo scorso marzo, quando due giovani vennero sorpresi alle 2:30 mentre si baciavano in una via della città da un residente della zona, che chiamò la polizia. All’epoca si trattava di “inosservanza di un provvedimento dell'autorità" e prevedeva l'arresto fino a tre mesi, ma un successivo decreto ha cambiato la natura della violazione
A Torino, sono circa 2.200 le denunce per violazione delle disposizioni anti Coronavirus trasformate da procedimento penale a violazione amministrativa e tutti i fascicoli sono diventati, quindi, di pertinenza della prefettura e non più della procura. Tra questi, anche quello relativo a una coppia di giovani, sorpresi alle 2:30 del mattino mentre si scambiavano un bacio in strada nel capoluogo piemontese. A notarli è stato un residente della zona, che chiamò immediatamente la polizia. All’epoca dei fatti - l’episodio risale allo scorso marzo - si trattava di “inosservanza di un provvedimento dell'autorità" (articolo 650 del codice penale) e prevedeva l'arresto fino a tre mesi. Un successivo decreto del governo, però, ha modificato la natura della violazione. (TUTTI GLI AGGIORNAMENTI - LO SPECIALE - IL CONTAGIO IN PIEMONTE - LE INDICAZIONI PER ANDARE AL MARE NELL'ESTATE 2020. FOTO)
Il commento del procuratore aggiunto
Sul caso dei due giovani denunciati era già intervenuto, lo scorso 25 aprile, il procuratore aggiunto di Torino, Paolo Borgna, secondo il quale l’episodio era la dimostrazione dell’esistenza di uno "stato di eccezione" ai tempi del lockdown che era "prima di tutto nelle nostre teste, al punto che - scriveva il pm su Questione Giustizia - due ragazzi di diciotto anni che alle due di notte si baciano in piedi sul marciapiede di una via deserta vengono denunciati da un solerte cittadino, che si affaccia alla finestra e chiama la volante della polizia. Tutto giusto e (a parte qualche eccesso) tutto necessario. L'esserci imbattuti nel 'cigno nero', l'improbabile e quasi impossibile che diventa realtà, ha plasmato i nostri comportamenti collettivi e privati. Siamo noi stessi ad invocare la nostra prigionia". Borgna, nell'articolo, esortava a "ragionare sui rischi che il panico sconfinato di oggi può avere sulle nostre libertà di domani".