La finanza ai tempi dell'Ai: due scuole di pensiero, i dati, le attese

L’intelligenza artificiale ancora osservata speciale a Wall Street e lo sarà per molto. Una cosa sono i passi da gigante che si stanno facendo in termini di tecnologie sviluppate, un'altra i timori che alcuni di questi gruppi che investono in totale migliaia di miliardi di dollari possano non vedere mai un ritorno sui loro investimenti. In parole semplici: mi tornerà indietro, in termini di fatturato, quanto ho investito? Da qui - oltre a qualche dato utile a tutti noi - due scuole di pensiero. La prima è quella formata da chi ritiene che, quando si tratta di una cosa così importante quale una tecnologia disruptive che cambierà completamente le nostre vite, è giusto si investa. Senza guardare al ritorno. Perché ci devono essere dei pionieri che aprono la strada a tutti. Guardate alla LLM – il mondo Chat Gpt, per intenderci, e Deepseek - che è quella che sta facendo più passi da gigante e prendiamo il mio ruolo, quello del giornalista che potete poi trasferire in altri settori. Ad oggi io potrei: chiedere all’Ia di cercare le fonti riguardanti una mia idea, trovare citazioni su un mio pensiero, stilare l’articolo, farne una versione per i differenti social e tante, tantissime altre cose. Questo mi permetterebbe di utilizzare quel tempo per coltivare i rapporti umani, parlare con le fonti ad esempio. Un po’ meno visibili ad oggi gli avanzamenti sul fronte degli umanoidi. Un bellissimo testo di Rodney Brook dal titolo Why Humanoids won’t learn dexterity spiega come la concezione sui cosiddetti umanoidi cambia in continuazione racconta che il problema principale è che a suo modo di vedere non impareranno mai manualità e destrezza. La seconda invece è la risposta dei mercati che guarda solo a quanto una società sia profittevole e possa crescere in futuro. Anche su questo vale la pena di fare un approfondimento. In soldoni: tutto bello ma gli azionisti vogliono continuare a essere remunerati. Ecco perché quando gruppi come Softbank o il numero uno di Palantir Peter Thiele disinvestono da Nvidia il mercato guarda a queste decisioni con preoccupazione. Perché? Perché molte società tecnologiche non avendo più denaro da investire stanno letteralmente inondando il mercato con i loro bond. Obbligazioni per le quali ricevono dagli investitori del denaro e in cambio corrispondono un interesse. Denaro che serve per costruire le infrastrutture utili ad alimentare l’intelligenza artificiale. Non si tratta proprio di noccioline: ad ora hanno emesso oltre 200 miliardi di dollari di obbligazioni cosiddette Investment Grade o IG . Questo dato corrisponde al 13% circa del totale delle emissioni IG. “Il debito dell’Ia sta ridisegnando il mercato del credito”, ha scritto la casa d’affari Janus Henderson. Sono cinque le società che chiedono più denaro in prestito: Amazon, Google, Meta, Microsoft e Oracle, “con una richiesta pari 121 miliardi”, scrive Bank of America. Circa 75 miliardi nei soli mesi di settembre e ottobre, ovvero più del doppio della media annuale del settore durante tutto il decennio precedente! E questa richiesta di denaro non è destinata a fermarsi ma potrebbe arrivare ad una cifra record di 1,8 migliaia di miliardi di dollari il prossimo anno . Quanto sopra spiega bene il calo del mese di novembre delle Magnifiche 7 che hanno ceduto circa il 7% in Borsa. Immaginate anche quanto sia concentrato questo settore: è tutto in mano a pochi. E se questi pochi non ce la faranno? Quando queste società sono andate inizialmente a chiedere soldi al mercato la domanda è stata molto elevata. Queste obbligazioni inizialmente sono piaciute. Ma quando Amazon – ultima ad averlo fatto – ha venduto 15 miliardi di dollari di obbligazioni, gli ordini sono scesi di circa il 40% quando è stato comunicato il prezzo. Se la bolla ci sarà davvero colpirà anche il mercato obbligazionario? Un’ultima nota importante perché credo non sia il caso di terrorizzare in questo momento. Si tratta solo, avendo a disposizione delle informazioni, di mettere a servizio di tutti perché in precedenza – e credo fosse nello specifico per l’assenza di notizie finanziarie che oggi è molto difficile tenere nascoste anche per la presenza dei social – con Lehman, con la crisi greca e a maggior ragione con la bolla delle dot.com, non era possibile farlo. Il caso Oracle nasce dagli spread. Così come il nostro spread ha come punto di riferimento quello tedesco, a Wall Street gli spread della società si misurano rispetto al Treasury, l’obbligazione decennale americana. Gli spread di queste società si stanno ampliando tutti ma Oracle nello specifico vede il suo bond a cinque anni con uno spread che a fine novembre era 104 punti base sopra all’interesse pagato dal Tesoro. Ma soprattutto la domanda per i CDS di Oracle – termine indigesto ma che semplicemente fa riferimento ai contratti simil assicurativi che proteggono gli investitori contro il default di una società – è salita vertiginosamente rendendo più cara per gli investitori l’assicurazione del loro debito. Vuole dire che cresce il timore di un default della società. Per questo, prossima settimana, i risultati di Oracle saranno non osservati ma osservatissimi dal mercato.

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Mariangela Pira