Ia e diritto d’autore, la battaglia sul futuro della creatività

Qualche tempo fa impazzava in Rete la moda di condividere immagini generate dall'IA e ispirate allo stile di Hayao Miyazaki, uno dei fondatori di quello Studio Ghibli autore di molti celebri film di animazione, “Il castello errante di Howl” su tutti. Un’attività apparentemente innocente, che però metteva in evidenza uno dei conflitti più spinosi causati dalla diffusione dell’intelligenza artificiale nella società: quello fra gli artisti - che di solito campano grazie ai compensi per le loro opere, frutto di studio e impegno - e una tecnologia che invece promette a chiunque di poter creare opere artistiche o pseudo tali, anche senza una preparazione specifica, soltanto scrivendo un prompt di testo. Siamo ben oltre la questione di quale sia il futuro dell’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica , ampiamente dibattuta da Walter Benjamin nel secolo scorso. Qua non si tratta di creare copie perfette di opere esistenti, ma di dar vita a contenuti apparentemente originali, elaborati però sfruttando opere esistenti, da cui i modelli di intelligenza artificiale “imparano” e di cui scimmiottano le caratteristiche. Vale sia per i testi, che per i video, le immagini o i suoni. Come faranno i grafici, i designer, i fotografi, i musicisti a campare se chiunque, con molta meno fatica, oggi può ottenere risultati simili ai loro? Ed è giusto che le aziende tecnologiche ne sfruttino i dati per l’addestramento, senza dare loro niente in cambio? Legislazioni diverse Non esiste al momento una risposta univoca a questa domanda. Come per ogni grande mutamento tecnologico la situazione è fluida, e definirà col tempo. Al momento la disciplina del legame fra IA e diritto d’autore varia a seconda dei Paesi e dei rapporti di forza in campo. Una possibile soluzione è quella degli accordi di licenza. L’11 novembre scorso un tribunale di Monaco di Baviera, in una causa intentata da Gema contro Open AI, ha emesso una sentenza a suo modo storica: la società di Sam Altman è stata condannata per aver adoperato, senza autorizzazione, testi di canzoni tutelate da Gema per addestrare ChatGPT. Secondo il Ceo di Gema, questo dimostra che “Internet non è una specie di buffet self-service e le opere dell’ingegno degli esseri umani non sono dei semplici template da utilizzare gratis”. La sentenza spiana la strada per cause simili in tutta Europa: se vorranno evitare ripercussioni legali le aziende Big Tech dovranno decidere se fare accordi, o rinunciare a incorporare i testi delle canzoni tutelate nei loro dataset. Qualcosa di simile sta avvenendo Oltreoceano per quanto riguarda la tutela di interi brani musicali. Esistono ormai diverse startup, come Suno.ai, Udio, Klay, Songfox, che consentono di generare musica a partire da semplici istruzioni testuali. Anche in questo caso, per poterlo fare, i modelli IA da loro utilizzati, devono essere addestrati su materiale esistente, solitamente protetto da copyright. Udio, Klay, Songfox hanno tutte riconosciuto il problema. La prima ha stretto un accordo con l’etichetta Warner Music Group , il cui Ceo Robert Kyncl ha promesso di collaborare solo con chi accetterà accordi di licenza , Klay ha siglato contratti non solo con Wmg ma anche con Universal e Sony, Songox con la società degli autori svedese, mentre Suno.ai ha varie cause in corso e ha da poco raggiunto un'intesa con Universal. In generale la legislazione statunitense è più flessibile di quella europea e tende ad essere più favorevole alle aziende tecnologiche, all’insegna della dottrina del fair use. In sintesi, l’idea è che l'utilizzo di opere protette da copyright per addestrare un'intelligenza artificiale è di tipo “trasformativo” e non espressivo, simile alla lettura di un libro da parte di un essere umano. Purché sia fatto su materiale ottenuto lecitamente. Per questo motivo Anthropic, l’azienda che produce il chatbot Claude, si è vista dare ragione in una class action portata da alcuni autori di libri finiti nei dataset dell’IA, essendo libri acquistati e poi “distrutti” durante la digitalizzazione, ma dovrà rispondere dei libri il cui contenuto è stato invece ottenuto illegalmente . L’azienda ha accettato di pagare un miliardo e mezzo di dollari per sistemare la questione. Sempre per la dottrina del fair use, Getty Images, azienda che vende immagini royalty free a professionisti e aziende, non ha ottenuto soddisfazione in una causa contro Stability AI, creatrice del celebre modello di generazione immagini Stable Diffusion. La giudice ha ritenuto che quest’ultimo “non ha violato il diritto d’autore perché non “memorizza né riproduce alcuna opera protetta da copyright”. Una maggiore tutela? La situazione è comunque in evoluzione e, dopo un periodo di sbandamento dovuto anche alla difficoltà, per chi deve dettare le regole, di mettersi al passo con l’evoluzione tecnologica, la tendenza sembra essere quella di una maggiore tutela per i creatori di contenuti – che si tratti di audio, video, immagini o testi. Il governo australiano, per esempio, ha rigettato di recente la proposta di introdurre un emendamento alla legge sul copyright, per consentire l’addestramento e il data mining dei modelli IA. La legge italiana sull’intelligenza artificiale approvata a settembre, prevede fra l’altro la riproduzione e l'estrazione di opere o altri materiali attraverso modelli e sistemi di intelligenza artificiale sia legittima solo con accesso autorizzato tramite licenze, abbonamenti, o tramite lo scraping di dati aperti. Dalla previsione normativa alla realtà concreta, certo, il passo è spesso lungo e non semplice. Una delle difficoltà, per gli autori, per far valere concretamente i loro diritti, è sapere con certezza se i propri contenuti siano stati utilizzati o meno per addestrare l’IA. Per questo l’AI Act approvato dall’Unione Europea impone agli sviluppatori di modelli di pubblicare un riassunto dei contenuti usati per il training. Tuttavia, anche a causa dell’attività di lobbying delle grandi aziende tecnologiche e delle pressioni del governo americano, molte norme contenute nel regolamento europeo sembrano destinate ad essere posticipate o modificate. Non è chiaro, al momento, se anche gli obblighi di trasparenza per gli sviluppatori saranno fra queste.

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Federico Guerrini