Dal phishing al ransomware: come l'IA ha democratizzato il crimine informatico

Tutti conoscono ChatGPT, ma avete mai sentito parlare di Worm GPT o FraudGPT? Dovreste. Se c’è una cosa su cui gli esperti di intelligenza artificiale e i responsabili della sicurezza aziendale concordano, è che lo sviluppo dell’IA sta avendo un forte impatto nel settore della cybersecurity. L'IA è sempre più utilizzata come strumento dal lato degli attaccanti, i malintenzionati decisi a estorcere dati o denaro alle loro vittime, ma anche a supporto dei difensori, a cui offre nuove armi per proteggersi. I due modelli citati all’inizio appartengono, come è facile immaginare, al primo tipo. Entrambi vengono venduti sul cosiddetto “dark Web”, la parte di web nascosta ai comuni motori di ricerca, e accessibile soltanto tramite appositi strumenti o attraverso alcuni canali Telegram. FraudGPT si presenta come una specie di “gemello cattivo” di ChatGPT. Come la versione rispettabile è disponibile su abbonamento, ma a differenza del noto chatbot, è pensato appositamente per aiutare a scrivere codici dannosi, creare pagine di phishing, trovare falle e vulnerabilità nei siti, e imparare le più diffuse tecniche di hacking. WormGPT è molto simile, con qualche funzione in più nel campo della generazione di email fraudolente che mirano a estorcere soldi o informazioni alle aziende. Se in passato era abbastanza facile riconoscere questo tipo di email, grazie a qualche errore ortografico o di contenuto, l’IA ha reso possibile creare messaggi praticamente perfetti e, cosa forse ancor più preoccupante, personalizzati in base alle caratteristiche del destinatario. Il tutto in maniera massiccia, altamente automatizzata, e a costi decisamente inferiori a quanto avveniva in precedenza. Se tutto ciò è già abbastanza preoccupante, la cattiva notizia, è che tratta solo dell’abc dell’IA applicata alle truffe. I primi resoconti su grandi modelli di linguaggio “malevoli” sono del 2023; nel frattempo lo sviluppo tecnologico è proseguito senza sosta, e i criminali hanno affinato grazie all’IA altre tecniche che prima erano allo stato embrionale, come il “voice cloning”, per inviare finti messaggi vocali. A molti, anche in Italia, è capitato di ricevere audio o telefonate da presunti parenti o amici in difficoltà, con richieste urgenti di denaro. Non solo, ma le versioni per programmatori di popolari chatbot come Claude vengono sfruttate dai delinquenti per creare campagne sempre più efficaci di ransomware, quel tipo di attacco informatico in cui i dati della vittima vengono criptati, “presi in ostaggio”, e resi nuovamente disponibili dietro pagamento di un riscatto. Come documentato dalla stessa Anthropic, produttrice di Claude, nel Threat Intelligence Report pubblicato a fine agosto, la grande novità in questo campo è la democratizzazione dello sviluppo dei tool di ransomware. Democratizzazione è una parola spesso usata in senso positivo, nei comunicati stampa delle aziende tecnologiche, per definire la disponibilità anche per il grande pubblico di strumenti e capacità prima riservate agli esperti, ma in questo caso non c’è nulla di positivo. Quello che Anthropic ha constatato, invece, è che anche criminali senza grandi capacità tecniche, possono ora, grazie ai suoi tool, creare campagne di ransomware su larga scala. Per di più, i chatbot stessi possono inavvertitamente diventare veicolo per spargere malware: alcuni ricercatori hanno scoperto di recente una tecnica per incorporare richieste malevole all’interno dei riassunti generati dall’IA. Nella classica corsa a guardie e ladri che caratterizza il settore della cyber sicurezza, le aziende tech stanno correndo ai ripari, aumentando i controlli e le protezioni nei propri prodotti, per evitare che siano sfruttati per il crimine. Come accennato in apertura, la stessa IA da strumento di attacco può trasformarsi in un prezioso alleato per la difesa. Invece del classico approccio reattivo alle minacce - si interviene quando qualcosa va storto - grazie all’IA e alla sua capacità di individuare pattern e automatizzare la risposta agli stessi, in futuro potrebbe essere fattibile un comportamento maggiormente proattivo e predittivo. Strumenti basati sull’intelligenza artificiale possono servire per individuare eventuali minacce presenti all’interno della rete aziendale e scovare comportamenti anomali prima che si trasformino in qualcosa di più pericoloso, riducendo i falsi allarmi, e attivando risposte automatiche proporzionate alla gravità della minaccia. Questo libera tempo prezioso agli analisti, che possono così concentrarsi su strategie più complesse per la mitigazione e il contenimento degli attacchi. Se tutto ciò non dovesse bastare, secondo alcuni esperti, c’è un’ulteriore, drastica soluzione: utilizzare i cosiddetti data center “air-gapped”, e staccare i sistemi aziendali più critici da Internet.

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Federico Guerrini