Instagram: il grande trasformista dei social

Instagram non è più l’Instagram di Kevin Systrom e Mike Krieger da anni, lo sappiamo bene e lo sa chi ha costruito, almeno fino a una decina di anni fa – con l’introduzione delle Storie, era l’agosto 2016 - la sua presenza sulla piattaforma curando i “vecchi” post in modo maniacale. Il feed principale ormai ha un peso relativo nella grammatica del social di Meta, che correndo dietro a TikTok punta tutto sui reel, sui contenuti pubblici in particolare video da diffondere fuori dalla cerchia dei follower e di quando in quando, stavolta con l’introduzione della Mappa degli amici, copia quello che gli serve da Snapchat. La funzione Ripubblica, finalmente C’è da dire però che la funzione Ripubblica era in effetti molto attesa. Si tratta della possibilità di “repostare” contenuti pubblici, inclusi foto e reel. Una novità che così conclude la lunga serie di strategie artigianali per farlo, dalle app di terze parti o screenshot con menzioni, magari dopo aver chiesto il permesso all'autore originale. Il meccanismo è il medesimo di X, come detto di TikTok e del casalingo Threads: basta cioè toccare l’icona delle due freccette collocata sotto al post o al video per condividere un contenuto pubblico anche nel proprio profilo. Finirà in una sezione dedicata, naturalmente con una menzione all’autore. E ovviamente si possono condividere contenuti di utenti che non si seguono. Come gestire "Ripubblica" È possibile disattivare la funzionalità per i propri contenuti ed è possibile segnalare un repost tenendo premuto sull’immagine del profilo del repost in basso a sinistra del reel o del post. Instagram ha inoltre anticipato altre due funzionalità che al momento non sono ancora attive in Italia. Una delle quali è appunto una versione “light” di quanto già attivo da tempo su Snapchat, cioè la Instagram Map: consente di condividere la propria posizione con contatti selezionati per seguirsi a vicenda – ma la mappa si aggiorna solo all’apertura dell’app, non segue le posizioni continuativamente – e di lasciare brevi note in corrispondenza di punti di interesse della mappa, quasi come fossero gli appunti su una cartina. L’altra è Amici nei Reels, una tab quasi di registro che raccoglie ciò che i propri contatti hanno commentato, pubblicato, apprezzato o, appunto, ripubblicato. L'evoluzione di Instagram Quando nel 2010 Instagram debuttò, la sua promessa era chiara: offrire uno spazio semplice ed esteticamente curato per condividere fotografie. Un flusso lineare di immagini quadrate, filtrate spesso con stile retrò – come l’icona dell’app dell’epoca d’altronde suggeriva - che raccontavano attimi di vita. Nessun video, nessuna messaggistica, nessuna complessità. L'algoritmo era cronologico, i profili essenziali, l’interazione si limitava ai like e ai commenti. A dominare era l’idea – che oggi ci appare fortemente invecchiata a prescindere dal giudizio su come sia diventata la piattaforma - di cura e autenticità, almeno nella loro forma visiva. Oggi è un’altra cosa. È un aggregatore fluido di funzionalità, spesso importate — o meglio, imitate — da altre piattaforme. Come detto, il primo grande scossone arrivò con le Stories, introdotte nel 2016 sulla scia del successo di Snapchat. Facebook , dopo ripetuti tentativi di acquistare l’app del fantasmino e almeno un paio di clamorosi rifiuti da Evan Spiegel, decise di grattarne a poco a poco l’essenza: contenuti effimeri, con adesivi, filtri, e strumenti per una comunicazione più spontanea. L’operazione ha di fatto oscurato l’Instagram originale nel giro di pochi anni, anche perché ha portato la parte commestibile di Snapchat fuori da una piattaforma altrimenti percepita come ostica per i meno giovani e un po’ labirintica. Poi è arrivato TikTok, anzi Musical.ly a dirla tutta, con il suo feed verticale di video brevi, algoritmicamente perfetto per lo scrolling infinito. Anche in quel caso Instagram ha risposto con una copia: i Reels, lanciati nel 2020. Il formato video breve è stato spinto con prepotenza nel feed principale, sacrificando senza troppe preoccupazioni la visibilità dei post tradizionali e contribuendo a una crescente omologazione tra le piattaforme. Il risultato? Un'esperienza utente sempre più guidata dall’intrattenimento rapido, “virale” se quell’aggettivo non fosse ormai ridicolo, e meno dalla cura dei contenuti. La nuova funzione Repost è dunque l’ennesimo tassello di questa metamorfosi continua: una mossa che strizza l’occhio ai meccanismi di X e di Threads e che segna un ulteriore passo verso la de-piattaformizzazione dell’identità. Instagram non è più un luogo dove scoprire qualcosa di unico ma dove rimbalza ciò che funziona dentro e fuori di essa. È la logica della massima convergenza, in cui ogni comportamento digitale trova uno spazio possibile dentro Instagram: foto, video, dirette, messaggi, shopping, contenuti effimeri, appunto repost. Ma questo sovraccarico rischia di far perdere riconoscibilità all’app. Inseguendo tutti, Instagram rischia di non essere più davvero sé stessa. Ma in fondo anche gli utenti cambiano, le generazioni si susseguono e non è detto che le più vecchie non possano apprezzare le novità o che le nuove debbano farlo per forza – anzi, i dati dicono che spesso hanno profili anonimi o semi-vuoti, e diverse identità, utili solo a seguire chi li interessa. Le piattaforme sono ormai condannate a lanciare nuove funzionalità ogni trimestre per mantenere l’attenzione alta, trattenere gli utenti il più a lungo possibile, fidelizzare gli utenti attraverso strumenti familiari che conoscono perché usano anche altrove. In questo contesto, ogni nuovo tool è un’arma in più per competere in una battaglia perenne contro TikTok, contro le tante mosse di YouTube e per certi versi con quel che arriverà in futuro. Con Meta che, nel frattempo, scommette pesantemente sull’intelligenza artificiale e sulla super-intelligenza personale seguendo le allucinazioni di Mark Zuckerberg, Instagram potrebbe diventare ancora di più il suo laboratorio di sperimentazione comportamentale. La domanda che resta aperta è appunto se questa strategia garantirà crescita decente o se, al contrario, condurrà a un progressivo disinteresse, soprattutto da parte di Gen Z e dintorni, che spesso preferisce strumenti più autentici o meno saturi e competitivi.

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Simone Cosimi