Tradita dalla Luna: storia di una fotografa e del suo mancato viaggio spaziale

Nel 2021 Rhiannon Adam è stata l’unica donna selezionata per la missione dearMoon, che intendeva circumnavigare la Luna con un equipaggio di otto artisti più il miliardario giapponese finanziatore del viaggio. Dopo mesi di test attitudinali e di controlli medici, e un pranzo nel deserto con Elon Musk, nel giugno del 2024 la missione venne improvvisamente cancellata, e la fotografa si ritrovò a fare i conti con il tempo perduto e i suoi sogni infranti. “La missione dearMoon era nata per essere la prima circumnavigazione della Luna condotta da un equipaggio di civili. Nelle intenzioni, doveva essere un viaggio di una settimana attorno al nostro satellite e ritorno, seguendo le orme e il tracciato di volo della missione Apollo 8”. La fotografa Rhiannon Adam ci racconta la sua storia interrotta da New York, alle sue spalle un interno sfocato, e all’inizio sembra quasi un personaggio della serie televisiva Spazio 1999 collegato da un alloggio della base lunare Alfa. La missione Apollo 8, per la cronaca, era decollata da Cape Canaveral il 21 dicembre del 1968, la prima con equipaggio che lasciò il nostro pianeta, orbitò attorno alla Luna e fece rientro sulla Terra. Oltre che per questi successi, oggi viene ricordata per la foto più famosa della Terra mai scattata dallo spazio: Earthrise, il sorgere del nostro Pianeta catturato dalla cabina della navicella mentre i tre astronauti riemergevano dal lato nascosto della Luna. Un’immagine su cui torneremo più avanti, nel corso del nostro racconto. “Della missione dearMoon dovevano far parte otto artisti, il finanziatore e due membri dell’equipaggio - spiega Adam a Sky TG24 Insider - Ci era stata data carta bianca rispetto alle opere d’arte che avremmo potuto creare mentre eravamo nello spazio. L’idea era riportare i nostri lavori sulla Terra per ispirare la pace nel mondo”. Tra il 2021 e il 2022 la fotografa irlandese è diventata l’unico membro femminile selezionato tra un milione di candidati per entrare a far parte dell’equipaggio. Come avvenne la selezione? “È stato un processo molto lungo, con più livelli. All’inizio erano cose semplici, tipo mandare una domanda on line e rispondere a quesiti, come se stessi partecipando alla selezione per una borsa di studio per artisti, un territorio per me abbastanza familiare. Il livello successivo è stato inviare video e condividere lavori e proposte su quello che intendevamo creare nello spazio e poi sottoporci ad approfondite valutazioni mediche per essere sicuri che fossimo adatti al volo spaziale. A quel punto, abbiamo dovuto affrontare dei viaggi a Houston, eravamo nel bel mezzo della pandemia e spostarsi non era affatto semplice, per conoscere il finanziatore della missione e gli altri membri dell’equipaggio, capire se andassimo d’accordo e lavorare sul senso del gruppo, attraverso tutta una serie di interviste. È stato un percorso molto lungo, durato circa un anno”. Com’è stata l’esperienza di vivere in un centro spaziale come Houston? “Ritengo che l’aspetto interessante di quando siamo entrati a far parte della missione sia stato comprendere l'eredità del volo spaziale umano e come la nostra storia si collegasse a quell'eredità. Trovarmi allo Space Center di Houston mi ha fatto capire che la maggior parte delle persone che vanno nello spazio lo fanno con un compito molto specifico; quindi, non hanno molta libertà di fare e di contemplare l'enormità di ciò che stanno vivendo. Per la maggior parte di loro, la visione è molto limitata. Penso che un luogo del genere mi abbia aiutato a comprendere quale fosse l'importanza della missione che ci accingevamo a compiere, non solo per noi stessi, ma anche per ciò che stavamo per creare”. Quali erano i suoi obiettivi e le sue ambizioni una volta che venne selezionata? “Ho sempre lavorato utilizzando molto materiale d’archivio, cercando di contestualizzare questa idea di passato nel presente. Quando io e i miei compagni di viaggio siamo stati selezionati il mondo stava attraversando un momento estremamente brutto, e penso che tutti noi avessimo bisogno di un piccolo promemoria del fatto che abbiamo una sorta di umanità condivisa e che viviamo nell'unico posto che possiamo chiamare casa. Il lavoro che volevo creare sarebbe stato una sorta di prova tangibile di tutto ciò, perché penso che ci siano così tanti resoconti romanzati sullo spazio, dove ormai è come se la finzione abbia sostituito la realtà. Siamo così assuefatti ai film di fantascienza e così abituati a vedere attori che interpretano gli astronauti che è difficile entrare in sintonia con la realtà di queste persone che invece vanno nello spazio in continuazione. In un certo senso, la nostra missione intendeva creare un ponte tra questi mondi per riuscire a connetterci alla storia dei voli umani nello spazio e a quello che è il nostro posto su questo pianeta. Io intendevo usare molti materiali analogici per ottenere un lavoro che potesse essere riportato sulla Terra, non qualcosa di realizzato digitalmente nello spazio e poi stampato una volta rientrati. Volevo creare qualcosa di fisico e di analogico, che potesse costituire una sorta di reliquia della missione, proprio perché non avrebbe potuto essere creato da nessun'altra parte. Il mio contributo sarebbe stato renderlo personale, non un concetto astratto in un mondo dove ormai con l'intelligenza artificiale tutto può essere liquidato come una finzione. Con il materiale analogico è molto più difficile falsificare le cose, perché si tratta di un oggetto reale e tangibile che puoi toccare e tenere in mano. Era questo l’obiettivo su cui mi concentravo, anche perché ormai abbiamo telescopi straordinari che possono catturare immagini molto migliori di quelle che potrei mai scattare io e non mi sognerei mai di sostituirli. Si trattava di introdurre l'elemento umano nel progetto e di riportare quel senso di umanità tattile nello spazio”. E in che modo intendeva procedere nello spazio per realizzare il suo obiettivo? “Intendevo lavorare con un equipaggiamento Polaroid. Si tratta di un materiale affascinante perché ha un legame storico con i voli spaziali: la persona che ha inventato la pellicola Polaroid era uno dei consulenti del programma spaziale di Eisenhower e ha scritto un capitolo dell’avventura verso la Luna, molte delle tecnologie che ha sviluppato sono state utilizzate nei voli spaziali. Ma quando la Polaroid ha inventato la pellicola istantanea, che è il tipo di pellicola quadrata con un grande bordo spesso, era il 1972, lo stesso anno dell’ultima missione del programma Apollo. Quindi mentre una cosa nasceva, l’altra moriva. Volevo portare con me questo tipo di pellicola perché assorbe la temperatura, l'umidità, e nello spazio c'è un ambiente molto artificiale che va creato, con livelli di ossigeno e altri fattori che vengono costantemente monitorati e controllati con grande attenzione all'interno della parte abitata di un razzo. E naturalmente elementi come la pressione e la gravità hanno una grande influenza sul modo in cui si sviluppano le immagini. Ero molto interessata ad esplorare le situazioni in cui la pellicola poteva non funzionare o i livelli di radiazioni e il modo in cui l'uscita e il rientro dall’atmosfera avrebbero trasformato l'immagine, in un modo impossibile da replicare sulla Terra”. Ha menzionato le missioni Apollo e lo sbarco sulla Luna. Che cosa rappresenta per lei questo evento? “È stato qualcosa di molto contestato, e anche per questo mi interessa molto, ed è collegato al progetto dearMoon. Dopo essere stata selezionata ho ricevuto tantissime e-mail da persone che iniziavano con frasi del tipo: “pensi di andare sulla Luna, ma non puoi perché non è mai successo. Non siamo mai atterrati sulla Luna”. Ed è stato molto interessante perché, proprio mentre studiavo per andare nello spazio ed essere in grado di realizzare questo lavoro fisico ed analogico, che non poteva essere negato o confutato, quasi una risposta al modo in cui gli sbarchi sulla Luna sono stati trattati come una possibile teoria del complotto, la missione venne cancellata, e allora ricevetti altrettante e-mail e messaggi da persone che dicevano: " Certo che non sareste mai potuti andare sulla Luna, perché non ci siamo mai stati”. Quindi la cancellazione del progetto dearMoon divenne la conferma della teoria del complotto. Personalmente invece ritengo che l'allunaggio sia stato un evento storico che ha riunito culture di tutto il mondo, un grande momento di unificazione attorno a un qualcosa di unico, come non accade più così spesso”. L'annullamento della missione nel 2024 Quando, il primo giugno del 2024, la missione dearMoon venne cancellata all’improvviso, Rhiannon Adam e gli artisti selezionati per lo spazio si sono ritrovati soli sulla Terra, abbandonati a sé stessi e senza possibilità di replica, costretti a fare i conti con il tempo perduto e i sogni infranti. Portare un equipaggio privato in un viaggio attorno alla Luna a bordo di un razzo Starship di SpaceX, progetto annunciato trionfalmente nel 2018 dall’imprenditore giapponese Yusaku Maezawa e da Elon Musk e inizialmente previsto per il 2023, si era rivelato qualcosa di troppo ambizioso, costoso e complesso da realizzare. Che cosa ricorda del giorno che è stata selezionata e cosa ha provato quando la missione è stata cancellata? “Il giorno in cui mi hanno detto che ero stata scelta per la missione è stato abbastanza surreale. Avevo superato così tante fasi della selezione, che quando ricevetti l’ennesima mail – ero in Israele per lanciare un libro a un festival di fotografia – che mi chiedeva di collegarmi pensai all’ennesima intervista, e invece dall’altra parte dello schermo apparve proprio Yusaku Maezawa che mi chiedeva se volessi andare sulla Luna con lui, e mi ricordo di essere scoppiata a piangere per la gioia e per lo choc. Il mio corpo è andato in tilt perché improvvisamente ho capito in modo piuttosto concreto che la vita non era più solo mia e stava per diventare qualcosa di diverso da quello che avrei mai potuto pianificare. In un certo senso, è stato come rinunciare a una sorta di controllo su di me, un'esperienza extracorporea molto strana. E poi, il giorno in cui la missione è stata annullata ho pensato che fosse qualcosa di troppo sconvolgente per essere trattato con così tanta indifferenza. Per me è stata una perdita catastrofica. Era come se fosse andato perduto un sogno collettivo. In un certo senso, ci ha tolto il senso di meraviglia, e ritengo che più si allontana la partenza di missioni come la nostra, più si affievolisce quel senso di speranza, mentre non c'è niente di più unificante dello spazio. Ogni singolo essere umano ha guardato il cielo notturno fin dall'alba dei tempi, per millenni abbiamo tutti guardato verso lo spazio, un sogno umano che ci lega ai nostri antenati. E quindi mi è sembrato molto irrispettoso nei confronti di questa idea di eredità liquidare la missione dearMoon così superficialmente, senza onorarla, Eppure è stato così, una cosa devastante, ed era difficile immaginare cosa sarebbe diventato vivere per me: c’era una vita prima, e poi c'era una vita durante. La vita dopo è stata un po' un'incognita, mi sentivo come la vittima del piano vanitoso di un miliardario, una pillola difficile da mandare giù quando sei una persona che lavora sodo come me”. In cosa consiste il suo progetto fotografico Rhi-entry, vincitore della sezione “Creative” dei Sony World Photography Awards 2025? “Intanto è un gioco di parole sul mio nome, ovviamente. Rhi come Rhiannon, ma anche come rientro, che dicono sia la parte più pericolosa di ogni volo spaziale con equipaggio. E in realtà, in un certo senso, ho sentito che la parte più difficile per me è stata proprio il riadattarsi alla vita che è arrivata dopo, o semplicemente all'idea che niente sarebbe mai stato all'altezza di quel sogno. Cosa mai potrebbe esserci di così grande o di più importante sulla Terra? Questo ti dà un senso di impotenza e ogni sogno impallidisce al confronto; quindi, si tratta anche di affrontare quel tipo di ricaduta psicologica che c’è nella discrepanza tra un sogno che era così bello e la realtà di perderlo, che poi sembra così insensibile e così vuota. È come se queste due scale di valori non corrispondessero, e il mio progetto di “Rhi-entry” tiene traccia dagli inizi di tutte le fasi del processo di selezione fino alla cancellazione, e anche della ricalibrazione psicologica lungo il percorso e del collegamento con il quadro storico. Chi ha avuto occasione di vedere il mio lavoro sa delle ricerche che ho svolto nell'archivio dell'Hayden Planetarium di New York – Adam ci racconta di aver fotografato così tante lettere provenienti da diversi Paesi di persone che all’inizio degli anni cinquanta avevano scritto al Planetario per prenotare un viaggio nel cosmo – e penso che l’innocenza e la fede catturata in quell’era priva di cinismo ci riportino al senso di speranza che la nostra missione voleva ispirare, portando con noi tutti i sogni racchiusi in quelle lettere scritte da persone di tutte le età che tra il 1949 e il 1953 avevano fatto domanda per andare sulla Luna, proprio come poi abbiamo fatto noi con dearMoon, ma nel loro caso prima che ci fosse qualcuno in grado di andare realmente nello spazio. E anche se poi noi non ce l'abbiamo fatta, era come se portassimo con noi le loro speranze e le loro storie: questo è diventato il progetto Rhi-entry, una persona comune come me che viene strappata all'oscurità, messa in quel contesto e poi costretta a fare i conti con la propria mortalità, con il proprio posto nel mondo e con il futuro del nostro pianeta. Non è un processo che si è fermato quando il progetto è stato cancellato, è ancora qualcosa a cui mi sto abituando, o sto solo trovando il modo di conviverci. E lo spazio è qualcosa di inevitabile. Ogni volta che fa buio, alzo lo sguardo ed è lì, come un promemoria. Ogni volta che entro in una cartoleria e guardo i biglietti d'auguri ce n'è sempre uno con la luna sopra, è diventata parte integrante della nostra cultura, non si può evitare, ma allo stesso tempo resta irraggiungibile, una strana dicotomia. Il mio progetto aiuta a connettersi con il lato umano, con le sensazioni che si provano durante il viaggio. Un viaggio psicologico, perché anche se non siamo mai partiti abbiamo comunque intrapreso un percorso, che non è meno importante di andare nello spazio. Abbiamo riflettuto su noi stessi e sul nostro posto nel mondo, e questo è qualcosa che non si può cancellare”. Cosa rappresenta per lei oggi la Luna? “Questa è una domanda difficile. Per molto tempo, anche se non era colpa sua, in un certo senso non riuscivo più a guardarla davvero. La Luna mi sembrava beffarda, era una luce brillante nel cielo, ma allo stesso tempo sembrava che si stesse prendendo gioco di me – a questo punto Rhiannon Adam si interrompe, prende tempo e fa un lungo sospiro prima di riprendere il filo del suo ragionamento - Per un lungo periodo, mentre ancora il progetto stava andando avanti, la guardavo e quasi le parlavo. Era come se ci fosse un rapporto familiare tra noi, era qualcosa di così strano quello che mi stava accadendo che in un certo senso la guardavo con occhi nuovi. E ora mi sento come se avessimo intrapreso questo lungo viaggio, io e lei, e poi ci fossimo lasciate ed è come se ne stessi uscendo dopo essere passata dall'altro lato. La ferita è ancora lì, ma anche l'amore è ancora lì.” Ho letto che una volta ha pranzato con Elon Musk. Che esperienza è stata? “Eravamo all’esterno, nel mezzo del nulla della sua base spaziale, sullo sfondo il razzo Starship, sarà stato l’aprile del 2023. Un contesto in cui cercava di impressionarci. C'era la sensazione che fossimo parte della sua azienda e lui si sentiva responsabile per noi. Si è parlato molto di sicurezza e di come ci saremmo presi cura di noi. E naturalmente, come aveva ammesso in precedenza, era consapevole che si trattava di una missione pericolosa e penso che volesse rassicurarci, del resto lo stavamo incontrando a casa sua. Indossava una maglietta sporca, jeans e stivali da cowboy, ed era circondato dai suoi familiari e dai dipendenti che si avvicinavano e lo interrompevano continuamente. Gli uffici a SpaceX non erano separati, era come se tutti fossero sempre in un open space. C'era una sorta di collegialità, tutti uniti per portare a termine il lavoro senza una gerarchia. La persona al gradino più basso poteva avere un'idea importante quanto l'ingegnere capo, quindi sembrava qualcosa di molto innovativo, una vera azienda tecnologica in questo senso. Quando abbiamo trascorso del tempo con lui, sì, c'era la sensazione che noi fossimo il suo progetto e che lui ci tenesse a fare la cosa giusta. È interessante per me ora pensare alla cronologia degli eventi: a quando l’ho incontrato, a cosa è successo dopo e a come il suo ruolo nel frattempo si sia trasformato sulla scena globale. E in realtà, molte delle cose in cui credevamo con il progetto dearMoon, a partire da quest'idea di pace nel mondo, sono ormai quasi incongruenti rispetto alla persona che è diventato Elon Musk”. Pranzerebbe di nuovo con lui se ne avesse l’opportunità? “Non mi piace escludere le persone e spesso cerco quelle che hanno idee diverse dalle mie, perché penso che a volte sia proprio da loro che ho imparato di più. E penso che in realtà, al giorno d'oggi, il problema più grande che abbiamo è che molti di noi si limitano alla propria cerchia di amici e non si espandono oltre. Sarebbe meglio per tutti noi se un giorno a settimana pranzassimo con qualcuno con cui siamo totalmente in disaccordo, quindi penso di sì, lo incontrerei ancora se potessi”. E quale sarebbe la foto che vorrebbe scattare nello spazio? Penso che la foto più incredibile nello spazio sia già stata scattata, e si tratta di Earthrise. Non credo si possa davvero battere, quello scatto è stato davvero unico e non c'è bisogno di farne un altro. Ma penso anche che lo spazio sia molto di più, riguarda le persone che sono lì e le loro storie, per questo intendevo usare la pellicola istantanea, per dare alle persone qualcosa che potessero stringere tra le dita, vedendo quasi impressi sulla foto i segni delle mani, come se fosse una reliquia dell’esserci stati, perché quando ti trovi nello spazio ti rendi conto della fragilità umana. Viaggi dentro qualcosa che è una macchina per il supporto vitale. Non è lo spazio dei sogni, ma uno spazio sotto stretto controllo, e quello che sembra libertà, in realtà non lo è. Penso a noi che sogniamo di diventare astronauti o di andare nello spazio, ma la verità è che stiamo solo volando dentro una scatola di latta, in una macchina che supporta le nostre funzioni vitali, dove se capita anche solo un piccolo imprevisto siamo tutti morti. E penso che ci sia qualcosa di molto umiliante in questa fragilità. Quindi, se penso a una foto da scattare nello spazio, se mai fosse possibile, sarebbe riprendere il retro del razzo con tutto l’equipaggio ai finestrini a guardare fuori e la Terra sullo sfondo. Se si potesse scattare una foto del genere in un certo senso ricorderebbe alle persone la nostra comune fragilità e sarebbe un buon promemoria del perché dovremmo prenderci cura di tutto ciò che è più vicino a casa”. La mostra dei Sony World Photography Awards 2025 è visiibile fino al 28 settembre al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano

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