I campioni europei dell'AI, tra ambizioni di sovranità e dura realtà del mercato globale

Mistral AI, una giovane startup francese focalizzata sui modelli generativi di linguaggio open source, sbarcata sul mercato due anni orsono, è stata quasi subito salutata come il potenziale “campione” europeo in grado di competere con i giganti americani del settore, da OpenAI e Anthropic. La stessa Mistral ha coltivato questa narrazione, premendo per attenuare alcune norme dell’AI Act della Ue che, a suo dire, avrebbero reso più difficile per le startup del continente competere a livello globale. Ragion per cui, quando la società ha annunciato una partnership nientemeno che con Microsoft, per il lancio di alcune funzioni a pagamento, in molti a Bruxelles hanno storto il naso. “Quindi, ci hanno presi in giro e le loro critiche ai regolamenti europei avevano un secondo fine” è stato il tenore di molti commenti. Oltre un certo livello Sospetti di lobbying per conto terzi a parte, in realtà probabilmente le cose sono più complesse e hanno soprattutto a che fare con la situazione in cui versano molte startup europee nel campo della AI . Queste società, una volta raggiunto un certo grado di sviluppo, per crescere ancora hanno bisogno di accedere a infrastrutture e fondi non sempre disponibili nella Ue. I cosiddetti “hyperscalers”, i giganti della tecnologia che forniscono alle aziende strumenti per l’elaborazione e la gestione di grandi quantità di dati, sono quasi tutti americani. E anche sul piano dei finanziamenti, non c’è molta competizione fra le due sponde dell’Atlantico. Ciò non significa che non vi siano startup europee di rilievo che provano a colmare questo divario. In primis Mistral, ovviamente, che ha raccolto più di un miliardo di euro di finanziamenti in meno di due anni e i cui ultimi modelli di linguaggio rilasciati, come Mistral Small 3.1, sembrano superare come prestazioni quelle dei modelli equivalenti di OpenAI. Mistral, che nasce soprattutto in ottica B2B, ha anche lanciato una app simil-ChatGPT, Le Chat, con cui chiunque può dialogare. La startup francese sta inoltre collaborando con un altro dei protagonisti europei più promettenti nel campo della AI, Helsing. Quest’ultima è un’azienda tedesca che sviluppa software di intelligenza artificiale per potenziare le capacità di analisi e decisione in ambito militare. I suoi algoritmi servono, fra le altre cose, per coordinare gli attacchi di sciami di droni e per migliorare la manutenzione predittiva e l’efficienza dei sistemi militari esistenti su jet e sottomarini. Il principale cliente di Helsing è il governo tedesco, ma ha stretto rapporti anche con i Paesi Baltici e ha prodotto migliaia di droni per l’esercito ucraino. Come Mistral, anche Helsing si presenta come un “campione europeo”, indispensabile agli Stati occidentali per avere capacità di difesa all’avanguardia. Sempre dalla Germania arriva Alex Alpha, che si propone esplicitamente come “la risposta tedesca a OpenAI”, un’alternativa locale e affidabile ai grandi modelli di linguaggio californiani. In particolare, l’azienda garantisce che i dati sensibili rimangano in Europa durante l’addestramento e l’inferenza dei modelli, e che questi ultimi rispettino le norme e i valori europei, in modo da poter essere adottati in contesti dove privacy e trasparenza sono fondamentali, come giustizia, sanità e pubblica amministrazione in generale. Percorsi alternativi Concentrarsi su segmenti di mercato come questo, non ancora del tutto monopolizzati dai giganti americani è una strategia adottata anche da altre aziende promettenti. Come la francese LightOn, che ha seguito un percorso di crescita diverso da altre startup AI, raccogliendo modesti finanziamenti iniziali per poi quotarsi in borsa a Parigi. Mantenendo la società radicata in Europa con capitale diffuso, anziché dipendere interamente da fondi esteri. Non a caso, fra i principali clienti della società c’è il governo francese: la startup lavora con ministeri e agenzie governative, oltre che con banche e aziende di telecomunicazioni. Una particolarità di LightOn è che non si occupa soltanto di software per l’AI, ma anche dello sviluppo di hardware. L’azienda ha sviluppato una tecnologia proprietaria di calcolo ottico: i suoi “Optical Processing Units ” utilizzano la luce per eseguire alcuni calcoli di machine learning in maniera più efficiente rispetto ai tradizionali chip elettronici. È anche una delle 20 aziende che fanno parte del progetto OpenEuroLLM della Commissione Europea, che punta a sviluppare modelli linguistici multilingue e open source ad alte prestazioni, nell’ottica di sostenere la sovranità digitale europea. Intelligenze dal Nord Del consorzio fa parte anche Silo AI, la startup finlandese che è diventata un punto di riferimento per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale nei Paesi nordici, e uno dei principali “laboratori” europei. Più che sviluppare un singolo prodotto, Silo AI offre ai clienti l’accesso a un vasto team di esperti di machine learning , per co-creare soluzioni su misura in campi che vanno dalla visione artificiale per l’automazione industriale, all’analisi dei documenti per banche e assicurazioni al machine learning per il settore manifatturiero e l’automotive. La startup ha anche lanciato un paio di grandi modelli di linguaggio open source – Viking e Poro Llm - dedicati specificamente alle lingue nordiche, come il finlandese, che altrimenti rischiano di essere sottorappresentate nei dataset con cui le grandi aziende Usa addestrano i loro prodotti. Gli affari però sono affari, e a luglio 2024, in uno sviluppo che in qualche modo ricorda quanto accaduto fra Mistral AI e Microsoft, l’azienda di Helsinki è stata acquistata dall’americana Amd per 665 milioni di dollari. I fondatori finlandesi di Silo continueranno a guidare la startup, ma le strategie globali verranno decise, in ultima analisi, in California. Forse è ingenuo pensare che in un mondo così interconnesso i campioni europei dell’AI possano – o debbano – rimanere “puri”. Certo però, finché il gap in infrastrutture cloud e investimenti non verrà eliminato, bisognerà prendere tutti i discorsi sulla “sovranità digitale europea” con un grammo di scetticismo.

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