Ci si potrà fidare delle notizie su Meta? Cosa cambia negli Stati Uniti e in Europa

Le piattaforme Meta non avranno più un loro sistema di fact-checking negli Stati Uniti. La notizia ha preoccupato molti utenti, quando il 7 gennaio Mark Zuckerberg l’ha annunciata in un video elencando una serie di modifiche alle politiche di moderazione dei contenuti su Facebook, Instagram, Whatsapp e Messenger, dove la valutazione di post apparentemente falsi non sarà più affidata a fact-checker terzi. La scelta è stata interpretata come una strategia per avvicinarsi alle politiche del presidente eletto Usa Donald Trump e del suo braccio destro Elon Musk, che da anni su X delega agli utenti la correzione delle notizie considerate false. Zuckerberg, però, ha giustificato la mossa come necessaria per “ripristinare la libertà di espressione”. La novità non riguarda l’Italia. In Europa, in generale, il Digital Service Act impone alle aziende l’obbligo di effettuare valutazioni di rischio, sulla base delle quali attuare misure efficaci al contrasto della disinformazione. Per di più, Meta non pare avere ancora intenzione di rinunciare ai fact-checker di terze parti . “Questo nuovo programma di Facebook negli Stati Uniti è un programma su base volontaria – commenta l’avvocato Ernesto Belisario, esperto in diritto delle tecnologie – ma il Dsa europeo obbliga ancora a un impegno proattivo delle piattaforme contro la disinformazione e le alterazioni della propaganda elettorale”. Avvocato, cosa sta succedendo alle piattaforme Meta negli Stati Uniti? Sta cambiando il programma per arginare la circolazione di notizie false, come dicevo, su base volontaria: se c’è un contenuto sospetto, saranno gli utenti a fare le segnalazioni e non interverranno più la piattaforma o fact-checker terzi. Ma non è casuale che accada negli Stati Uniti. Cosa intende dire? Che ci sono due modelli contrapposti a livello mondiale. Da un lato, c’è l’approccio per cui esistono delle regole e degli obblighi. Dall’altro, ci sono delle garanzie che possiamo chiamare “ottriate”, come le Costituzioni del 1848, ovvero concesse da questi “sovrani illuminati”, che però a un certo punto possono anche decidere di sospenderle e revocarle. A livello mondiale, è ragionevole che l’America Latina si sposti verso questo approccio statunitense, mentre altri Paesi come la Corea del Sud forse seguiranno la strada tracciata in Europa. Zuckerberg ha parlato di “troppi errori e censura” da parte dei fact-checker, è così? Non dobbiamo essere talebani: dire che il fact-checking non funziona, se documentato con dati, numeri, ricerche e analisi, è possibile. Potrebbe essere anche vero. Ma il punto è un altro: non siamo probabilmente sulla strada giusta se, eliminando un sistema, non lo sostituiamo con qualcosa che funziona meglio. Non credo che serva né la deregolazione assoluta né un sistema di continuo monitoraggio delle applicazioni. Il tema vero è capire quale siano le responsabilità che si devono assumere le aziende. E che ruolo hanno, al momento, le piattaforme in Usa e in Europa? Da un lato sta prendendo piede l’idea che il fact-checking possa essere uno strumento di censura o che si presti ad abusi, che comunque sono sempre da dimostrare. Un’idea che, anche se fosse vera, non può portare all’eliminazione di ogni tipo di moderazione e controllo, con la conseguenza che tutto è affidato a una specie di serendipity della comunità. D’altro canto, l’approccio della normativa europea è condivisibile: le aziende non possono esimersi da un’assunzione di responsabilità, anche perché sono loro a mettere sul mercato un certo servizio ed è giusto che si adoperino perché non ci siano ritorsioni sul benessere psico-fisico degli utenti. Lo abbiamo visto con il caso Telegram quanti danni possa fare la diffusione deregolamentata di contenuti illegali o pedopornografici. Non mi sfugge che queste piattaforme non possano essere arbitri del bene e del male, ma non possono neppure sottrarsi alle valutazioni di rischio. Meta pare arrivato allo scontro con l’Europa: si parla di “leggi che istituzionalizzano la censura”. Al momento, però, non ha eliminato le collaborazioni con i fact-checker terzi. Potrebbe farlo in futuro? Credo che comunque, al di là degli annunci, Meta dovrà rispettare il Digital Service Act europeo se, come credo, continuerà a offrire i propri servizi al continente. Questo non significa che debba necessariamente tenere i rapporti con i fact-checker terzi, ma vuol dire che è obbligato a prevedere sistemi che consentano di combattere in modo efficace la disinformazione sulle proprie piattaforme. Quindi, ci dovremo fidare sempre meno di quello che leggiamo sui social Meta? Per quanto riguarda l’Europa, le cose non stanno cambiando tanto repentinamente perché non tutto è affidato alle poche parole di un video. La contrapposizione va avanti da mesi e ci impegnerà anche nei prossimi mesi, perché ci sono difficoltà per i provider nel conciliare le loro logiche con quelle dell’Unione. Penso anche all’addestramento dei sistemi di intelligenza artificiale con i dati degli utenti e ai paletti imposti dai Garanti della privacy. Non so se ci sono interessi economici da parte delle aziende in questo braccio di ferro, ma sono convinto che ci sarà utile uscire dalla contrapposizione “diritti contro regole”.

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