Una sentenza potrebbe cambiare la politica sulle frontiere in Ue

Era il 6 novembre 2017, quando la nave Sea-Watch 3 della ong Sea-Watch tentò il soccorso di circa 130 persone migranti a bordo di un gommone alla deriva nel Mediterraneo. Durante l’operazione di salvataggio, però, la nave fu ostacolata dalla Guardia costiera libica e l’incidente tra le due provocò la morte di almeno 20 persone, tra cui due bambini. La Sea-Watch 3 riuscì a portare in salvo in Italia 59 passeggeri. Altri 47, invece, furono trasbordati nuovamente in Libia, da dove erano salpati, dalla Guardia costiera di Tripoli che agiva per conto delle autorità italiane. Nelle carceri libiche, poi, subirono una detenzione in condizioni disumane, percosse, estorsioni, fame, abusi sessuali e tortura. Per questo, tramite l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione , alcuni dei sopravvissuti hanno fatto ricorso contro l’Italia alla Corte europea dei diritti dell’uomo , per aver coordinato le navi libiche nei respingimenti che portarono ad abusi e decessi. A distanza di sette anni, il 12 giugno 2025, i giudici si sono espressi, dichiarando all’unanimità l’irricevibilità del ricorso. In un momento in cui il modello di esternalizzazione e respingimenti Italia-Libia viene riprodotto anche altrove , secondo i legali, la pronuncia potrebbe avere un forte significato politico: “L’approccio altamente restrittivo della Corte perde un’occasione per colmare una lacuna in materia di protezione dei diritti umani, consentendo agli attori europei di contenere la migrazione senza assumersi alcuna responsabilità”, commenta Asgi. Cosa ha deciso la Cedu Il motivo tecnico alla base del rifiuto è che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non si applica alle operazioni extraterritoriali operazioni di ricerca e soccorso in mare. Per questo, nonostante abbia coordinato l’intervento della Guardia di costiera libica inducendo il respingimento, l’Italia non è responsabile. Ciononostante, sempre nella sentenza, la Corte ammette anche che la Libia “non sia sicura” per i migranti. In pratica, i giudici non mettono in dubbio la violazione dei diritti fondamentali delle persone coinvolte nei respingimenti e, nella pronuncia, lo dicono esplicitamente: “La Corte ci dice proprio: ‘Io mi rendo conto che queste pratiche di esternalizzazione non possono giustificare eventuali violazioni degli atti stessi’ – spiega l’avvocata Loredana Leo di Asgi – ma poi fa una lettura restrittiva della Convenzione e lascia le violazioni subite prive di attribuibilità a un responsabile. In questo caso, il governo italiano”. Al momento, non sono previsti ricorsi da parte dei difensori. Le conseguenze della sentenza La sentenza della Cedu non aveva precedenti in merito. Ma, nel 2012, la stessa Corte aveva interrotto una prassi ancora più evidente di esternalizzazione: se, infatti, fino al 2012, era il governo italiano a riportare direttamente le persone in Libia con le proprie navi, da allora gli esecutivi sono stati costretti a coinvolgere le autorità di altri Stati – Tripoli in primis – per portare a termine i respingimenti. “Quella in vigore oggi è una pratica più raffinata di esternalizzazione delle frontiere – continua Leo – ma la sostanza resta la stessa”. Ovvero che le persone migranti vengono riportate indietro in Libia, dove sono detenute e abusate. Per questo, gli esperti di diritto della migrazione parlano di “occasione mancata”: “La Corte nega la giurisdizione dell’Italia – continua la legale – Dice, cioè, che nessuno Stato parte della Convenzione è responsabile sostanzialmente di queste violazioni. È deplorevole che la Corte non dichiari i ‘respingimenti’ come un esercizio di giurisdizione extraterritoriale da parte dell’Italia. Questa politica è un tentativo di Roma di ‘esternalizzare’ le violazioni dei diritti umani alla Libia”. Tradotto: uno scaricabarile. L’impressione, dunque, è che anche per i prossimi casi la Cedu possa non ritenere responsabili gli Stati europei accusati di esternalizzare violenze e abusi sui Paesi di partenza. Ma, anche se venisse meno la Convenzione, i legali potrebbero avere altri strumenti in mano per la difesa delle persone torturate nelle prigioni libiche : “La Cedu – conclude Leo - è andata contro a decisioni di altri tribunali, sia nazionali sia internazionali, che in situazioni simili avevano affermato la responsabilità dell’Italia”. Tra le altre Corti, competenti in altre circostanze, c’è anche la Corte di giustizia dell’Ue che entro l’anno dovrebbe pronunciarsi su una nuova frontiera esternalizzata: quella dell’Italia con l’Albania.

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