Dati, innovazione e sovranità: l'Italia può costruire il proprio futuro digitale

L’Italia detiene un indiscutibile monopolio naturale: la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo. Questo la rende un potenziale hub tecnologico per la sovranità digitale europea, visto che nel contesto mediterraneo transita tramite i cavi in fibra sottomarini circa il 16% del traffico mondiale dei dati. La nostra penisola si candida pertanto a essere uno dei maggiori porti globali per lo scambio e lo smistamento di informazioni digitali, una Rotterdam dei bit che potrebbe non temere concorrenti. A patto che sappia usare la leva competitiva derivante da ciò a vantaggio dell’internazionalizzazione delle imprese italiane, che per le caratteristiche proprie del nostro Paese sono sottodimensionate rispetto ai colossi statunitensi ed europei. In Italia, il venture capital ha investito appena 8 miliardi di euro tra il 2013 e il 2024, contro i 489 miliardi di euro in Europa e ben 1,5 trilioni di euro negli Stati Uniti nello stesso periodo. Questo gap limita la capacità delle startup italiane di crescere e competere su scala globale. La diffusione di infrastrutture digitali avanzate, come il supercomputer Leonardo con una capacità di calcolo di 250 petaflop/s e il sistema HPC6 di Eni con 606 petaflop/s, posiziona l’Italia tra i principali attori europei nel supercalcolo. Tuttavia, altre nazioni come Francia e Germania stanno sviluppando sistemi exascale con capacità superiori a 1.000 petaflop/s, dimostrando un avanzamento tecnologico ancora più rilevante. Negli Stati Uniti, il supercomputer Frontier ha già raggiunto la soglia dell’exascale con una capacità di 1,1 exaflop/s , posizionandosi come il più potente al mondo. A paradossale dimostrazione della tesi esposta dall’antropologo ungherese Karl Polanyi nel saggio “La grande trasformazione”, infatti, secondo cui l’economia è imbrigliata nella società, la cultura familistica predominante nel nostro Paese origina un’attività imprenditoriale prevalentemente a carattere familiare, che molto raramente si può evolvere in una multinazionale. Le eccezioni, come noto, ci sono in molti settori industriali, dall’automotive all’alimentare, ma nel campo dei servizi in cui rientra il digitale ciò non avviene, proprio per l’elevato valore aggiunto del capitale umano necessario a creare i prodotti di questo specifico comparto: soluzioni software di cybersicurezza, datacenter, hardware dedicato. La diffusione di competenze e know-how nella popolazione italiana è troppo limitata per alimentare realtà di grandi dimensioni. L’Italia, nel 2024, ha investito circa 30 miliardi di euro in Ricerca e Sviluppo , pari all’1,4% del PIL, un dato modesto rispetto ai 120 miliardi di euro investiti dalla Germania o ai 650 miliardi di dollari spesi dagli Stati Uniti . Questo ritardo strutturale limita la competitività del Paese sul mercato globale. Nel 2024, le Big Tech hanno dimostrato un rinnovato interesse per l’Italia. Microsoft, ad esempio, ha annunciato un investimento di 4,3 miliardi di euro per espandere la propria infrastruttura cloud e di intelligenza artificiale, con il progetto di rendere la regione ItalyNorth uno dei più grandi data center in Europa. Google, invece, come ha annunciato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alessio Butti al G7 Tecnologia di ottobre, è in trattative con il governo italiano per sviluppare una rete di stazioni base in Sicilia, migliorando le connessioni dei cavi sottomarini tra Europa, Medio Oriente e Asia. Infine, Starlink, tramite un accordo con Telespazio, ha avviato progetti per fornire connettività satellitare, ampliando la copertura digitale sul territorio nazionale. Il divario che separa l’Europa, e più in particolare l’Italia, dai due attori globali, Cina e Stati Uniti, è anche dovuto a una minore capacità di investimento, dovuta alla frammentazione delle politiche nazionali all’interno dell’Unione su scala continentale e alla ancor più grande dispersione di risorse dovuta alle piccole e medie dimensioni delle aziende italiane. Le nostre nicchie di eccellenza, che indubbiamente esistono, si devono integrare con le Big Tech statunitensi per crescere e proiettarsi all’estero, mantenendo tuttavia la propria autonomia. Ciò deve avvenire infatti in un contesto di riferimento che protegga e valorizzi le nostre startup, prevenendo la loro mera acquisizione attraverso politiche che consentano loro di agire alla pari con i partner USA: accesso al credito, sostegno infrastrutturale e autentica protezione per mantenerle e trasformarle in asset strategici per la crescita nazionale. La sovranità digitale deve essere perseguita attraverso la creazione di infrastrutture critiche indipendenti – data center, cloud network, data processing – e di strumenti finanziari dedicati a sostenere lo sviluppo di tecnologie essenziali – intelligenza artificiale, semiconduttori e cybersecurity. Inoltre, è fondamentale costruire un ecosistema resiliente, semplificando la burocrazia, armonizzando i criteri regolatori e incoraggiando la collaborazione pubblico-privata. La realizzazione di prodotti interoperabili con quelli americani ci permetterebbe di far valere l’asset geografico italiano nel contesto competitivo globale. Se in questo modo l’Italia si trasformasse nell’hub digitale europeo divenendone il driver, ciò consentirebbe anche di farci valere con maggior forza nel confronto con la potenza dell’alleato statunitense. A garanzia di tutto questo, però, ci deve essere una maggiore consapevolezza delle misure di sicurezza necessarie a un simile ruolo, a partire dalla tutela dell’integrità delle dorsali sottomarine intercontinentali tra Europa, Asia e Africa che corrono sui fondali mediterranei. Esattamente questo è l’intento della proposta di legge del senatore Lorenzo Guerini sull’istituzione di un Consiglio per la sicurezza nazionale, dell’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica e la definizione di una strategia di sicurezza nazionale, strumenti capaci di fornire una bussola nei marosi dei tempi che stiamo vivendo. Venti di guerra che nel Baltico, nel Mare del Nord e nel Mare d’Irlanda coinvolgono anche infrastrutture strategiche come i cavi sottomarini, più volte sabotati da pescherecci e mercantili russi e cinesi negli ultimi due anni. E che presto potrebbero superare le Colonne d’Ercole e i Dardanelli per soffiare minacciosi anche nel Mare Nostrum.

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