Il traguardo, come hanno rivelato i dirigenti dell’azienda in occasione della pubblicazione dei risultati del primo trimestre 2020, è stato raggiunto ad aprile
Non accenna a placarsi la crescita dell’app di videochiamate Zoom. Come hanno rivelato i dirigenti dell’azienda in occasione della pubblicazione dei risultati del primo trimestre 2020, nel corso di aprile gli utenti giornalieri del software sono diventati 300 milioni. Una crescita rapidissima, se si considera che a dicembre 2019 l’app veniva usata “solamente” da 10 milioni di persone ogni giorno. Nel periodo del lockdown l’uso delle videochiamate è diventato sempre più massiccio, complice anche la necessità di lavorare da remoto e di restare in contatto con amici e parenti.
Una crescita annuale del 169%
Per Zoom, il vertiginoso aumento degli utenti unici si è tradotto in un incremento delle entrate, che negli ultimi mesi sono salite a 328,2 milioni di dollari (pari a una crescita annuale del 169%). Risultati positivi anche per le aziende clienti con più di 10 dipendenti, che sono andate incontro a una crescita del 354%. Inoltre, la durata delle chiamate è passata dai 100 miliardi di minuti di fine gennaio ai duemila miliardi di minuti registrati da aprile. Col lento ritorno alla normalità, questi numeri impressionanti potrebbero ridimensionarsi un po’, ma al momento è difficile fare previsioni sul futuro di Zoom e delle altre app di videochiamate.
L’affaticamento da videochiamata
Durante il lockdown, i ricercatori hanno coniato il termine “Zoom Fatigue” per descrivere l’eccessivo affaticamento legato all’utilizzo delle applicazioni di videochiamate. In uno studio, pubblicato sulla versione internazionale della rivista National Geographic, alcuni esperti spiegano che le interazioni virtuali possono essere piuttosto faticose per il cervello. Durante queste esperienze, infatti, le persone possono contare poco sulla comunicazione non verbale, anche a causa della qualità non sempre ottimale delle webcam utilizzate, e sono “obbligate” a prestare più attenzione del solito alle parole. "Per chi è veramente dipendente da questi segnali non verbali può essere un grosso problema non percepirli", spiega Andrew Franklin, uno degli autori dello studio.