Le app possono diventare armi da stalking: ecco come

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Immagine di archivio (Getty Images)

Un report dell’Università di Toronto sottolinea come sempre più spesso le app con funzioni di ‘sorveglianza’ vengano usate impropriamente per compiere abusi. Per Bernardi di Federprivacy serve “un cambiamento culturale" 

Le app possono diventare una porta d’accesso per smartphone e tablet e, di conseguenza, per la vita degli stessi proprietari. Lo spiega il Citizen Lab dell’Università di Toronto in un report intitolato ‘Il predatore nella tua tasca’, che sottolinea le capacità dei cosiddetti ‘stalkerware’, applicazioni spesso sviluppate con fini nobili ma che finiscono per essere sfruttate impropriamente per controllare le azioni di altre persone. Secondo i risultati di una ricerca canadese relativa ai casi di violenza avvenuti in Canada dal 2012, il 98% degli aggressori avrebbe utilizzato mezzi tecnologici per intimidire o minacciare le vittime, come afferma Citizen Lab.

App trasformate in strumenti da stalking

La tendenza tuttavia non si ferma al Canada. Sono molti i paesi in tutto il mondo dove funzioni come la geolocalizzazione o il monitoraggio dei messaggi proposte da app per il controllo di figli o dei dipendenti vengono utilizzati per sorvegliare le potenziali vittime. Stando a un sondaggio statunitense svolto dal National Network to End Domestic Violence il 71% dei molestatori protagonisti di abusi domestici aveva monitorato in precedenza le attività online della propria vittima, mentre il 54% si sarebbe affidato proprio agli ‘stalkerware’ installati sugli smartphone. Come specificato dai ricercatori di Citizen Lab, tutto ciò può accadere utilizzando abusivamente anche alcune applicazioni piuttosto comuni, come quelle che aiutano a localizzare amici, parenti o colleghi.

Le app installate hanno delle conseguenze

Il direttore di Federprivacy Nicola Bernardi spiega che l’utilizzo improprio che trasforma alcune app in ‘stalkerware’ “ha un’ampia diffusione anche da noi”. Gli antivirus offrono spesso un’efficace soluzione per difendersi ma, prima di ogni altra cosa, “serve anche un cambiamento culturale, bisogna valutare attentamente le conseguenze di tutto ciò che si installa”. Questo perché, dalle app per trovare le proprie auto o gli smartphone smarriti, “al giorno d'oggi tutto può diventare un mezzo per spiare”, prosegue Bernardi. Un libro uscito recentemente del professore della Georgetown University Cal Newport, intitolato ‘Minimalismo digitale', propone un’interruzione volontaria di 30 giorni di tutte le attività online seguita da una graduale reintroduzione delle pratiche strettamente necessarie al fine di aumentare la consapevolezza di ogni singolo strumento tecnologico utilizzato.

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