#10YearsChallenge, un meme tra nostalgia e rischi per la privacy
TecnologiaIl nuovo meme impazza sui social network più popolari: gli utenti mettono a confronto proprie foto del 2009 e del 2019. Ma c’è anche chi lo usa per lanciare messaggi politici. E chi mette in guardia sui rischi
Come eravamo. E come siamo. E come siamo cambiati. Agli esseri umani è sempre piaciuto guardare indietro e osservare i propri cambiamenti, almeno da quando la fotografia ha permesso di tenere facilmente una traccia visiva dei mutamenti nel tempo. Non stupisce che questa curiosità sia rimasta anche oggi, quando i device per scattare una foto sono nelle tasche di tutti ogni momento del giorno e offrono la possibilità di condividere il risultato con milioni di persone.
Si spiega anche così il successo di #10YearChallenge (GUARDA LA GALLERY), o #2009vs2019, o #glowupchallenge, uno dei meme più di tendenza del momento: gli utenti si divertono a pubblicare un’immagine di sé stessi nel 2009 a fianco di una attuale. Il risultato può essere, di volta in volta, sorprendente, deprimente, incoraggiante, divertente. Ma può anche far riflettere.
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Celebrità e marketing
La “sfida dei 10 anni” non coinvolge solo utenti qualunque. Come spesso succede, la popolarità di un meme si misura anche dal numero di celebrità e marchi che lo hanno adottato. Nel caso della #10yearchallenge non mancano i VIP che hanno accettato la sfida, come Madonna, l’attore Jeff Goldblum, che ha giocato con la sua interpretazione nel film “La Mosca”, o il suo collega Samuel Jackson, o la cantante Janet Jackson. Hanno risposto presente anche gli sportivi, a cominciare da Francesco Totti.
Anche alcuni marchi globali non hanno resistito alla tentazione, per esempio la filiale malese di Starbucks, la marca di racchette da tennis Wilson, quella utilizzata dal campione svizzero Roger Federer, o la casa di produzione di videogiochi Nintendo, che ha usato il meme per aggiornarci sullo stato di salute di uno degli eroi della casa, SuperMario.
Politica e giuste cause
E’ nella natura dei meme la capacità di prendere svariate forme e di piegarsi ad usi e funzioni differenti. Non c’è voluto molto dunque perché l’etichetta #10YearChallenge fosse utilizzata per messaggi più politici e cause più serie. Parecchi utenti, per esempio, ne hanno approfittato per offrire ulteriori evidenze visive degli effetti del cambiamento climatico, dallo scioglimento dei ghiacciai alla riduzione della superficie della calotta polare artica.
Per altri, la “sfida” ha assunto una connotazione decisamente politica, offrendo lo spunto per mettere a confronto gli inquilini della Casa Bianca di oggi e di ieri. Altri hanno impiegato il meme per provare a sensibilizzare sulle conseguenze di conflitti. Ecco allora la Libia vista prima e dopo l’intervento che ha portato alla destituzione di Gheddafi, o lo Yemen dopo i bombardamenti della coalizione guidata da Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti o ancora la Siria prima della guerra e ora.
Preoccupazioni
Ma la #10yearschallenge non ha raccolto solo adesioni entusiastiche. Il fatto che milioni di persone abbiamo deciso volontariamente di accostare delle fotografie dei propri volti a dieci anni di distanza e condividerle sui social network ha sollevato anche preoccupazioni. Come quelle espresse dall’esperta di tecnologia Kate O’Neill che, in un post su Twitter prima e in un articolo per il magazine Wired, ha messo in guardia su quella che, a suo avviso, potrebbe configurarsi come una gigantesca raccolta di dati biometrici ad uso di algoritmi di riconoscimento facciale presenti e futuri. Secondo O’Neill, i partecipanti alla sfida, classificando e identificando scatti di una medesima persona ieri e oggi, potrebbero di fatto aiutare le macchine a riconoscere lo stesso volto nel tempo, ovvero a comprendere come cambiano e come invecchiano gli individui. Questo non significa che l’eventuale uso dei dati sia automaticamente negativo. Le tecnologie di riconoscimento facciale si prestano infatti anche ad impieghi positivi (come il ritrovamento di bambini scomparsi) o neutri. Resta però, ammonisce O’Neill, che dobbiamo abituarci a riflettere che azioni apparentemente innocue possono produrre informazioni sulle quali non abbiamo controllo.