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Dottor smartwatch: i sensori ci diranno se ci stiamo ammalando

Tecnologia
Gli smartwatch aiuteranno a monitorare la salute (Getty Images)

I dispositivi wearable potrebbero contribuire ad anticipare la diagnosi, anche grazie ad algoritmi personalizzati. Lo sostiene uno studio dell'Università di Stanford

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Gli smartwatch sono in grado già oggi di misurare battito cardiaco, distanza percorsa, qualità del sonno. Presto potrebbero contribuire a prevenire l'insorgenza di malattie. Ne sono convinti i ricercatori dell'università di Stanford, autori di uno studio pubblicato su Plos Biology.

 

 

Prevenire prima dei sintomi – La ricerca ha coinvolto 43 individui ed è durata due anni, durante i quali sono stati raccolti 250 mila dati, legati poi ai singoli eventi (come viaggi, lavoro, pratica sportiva). L'obiettivo era capire quanto gli smartwatch potessero indurre a una vita più sana e ad anticipare la diagnosi. La risposta, secondo gli autori della ricerca, è “sì”.

Due sono state le evidenze più importanti. Primo: i sensori sono stati utili nell'identificazione della malattia di Lyme e, più in generale, nel rilevare in anticipo infiammazioni. Secondo: gli smartwatch hanno rilevato differenze fisiologiche tra gli individui insulino resistenti e chi non lo è. In sostanza, sottolineano gli autori, i sensori “aumentano la possibilità di idenditificare chi è a maggior rischio di sviluppare un diabete di tipo 2” (quello che si manifesta in età adulta).

 

 

Un algoritmo per la salute - Nel complesso, concludono i ricercatori, “i risultati indicano che le informazioni fornite dai dispositivi indossabili potranno giocare un ruolo importante nella gestione delle malattie, garantendo un monitoraggio sanitario costante anche alle classi socioeconomiche più svantaggiate o alle popolazioni che abitano aree geografiche remote".

Non c'è quindi solo il fitness e un controllo della qualità del sonno. Gli smartwatch, oltre a stimolare il rispetto di condotte virtuose, potranno avere un ruolo legato non solo al benessere ma anche alla prevenzione. Non forniranno una vera e propria diagnosi, secondo i ricercatori, ma saranno in grado di avvertire, ben prima della comparsa dei sintomi, la possibilità di sviluppare una malattia.

Per rendere efficace questo ruolo “predittivo”, i ricercatori hanno già aperto una seconda fase dello studio: lo sviluppo di un algoritmo personalizzato che sia in grado di elaborare i dati raccolti per cogliere con quanto più anticipo possibile l'arrivo di malanni.