Gigi Riva e Cagliari, un amore che non morirà mai

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Gabriele Lippi

Gabriele Lippi

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Rombo di tuono era una di quelle leggende che si tramandano per via orale di padre in figlio con la differenza che bastava uscire di casa e fare due passi nella via Paoli per incrociarne lo sguardo. Sempre un po’ malinconico, persino quando alzava la testa e rivolgeva un sorriso abbozzato a chi, con educazione e senza mai violarne la privacy, lo salutava

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Eravamo tutti figli suoi, baciati dalla sorte per averlo potuto sfiorare, benedetti dal dio del calcio per il fatto che avesse scelto Cagliari e la Sardegna. Tutti, anche chi è troppo giovane per averlo visto giocare se non in qualche filmato di repertorio, di quelli presi dagli archivi Rai e che si trovano ancora oggi su Youtube, con le immagini sgranate, che si vedono male, provenienti da un’era in cui non c’erano decine di telecamere a riprendere le azioni da ogni angolazione, in cui le giocate si intuiscono più che vederle.

La leggenda vivente

Gigi Riva era parte di noi, del nostro patrimonio genetico ereditario, una di quelle leggende che si tramandano per via orale di padre in figlio con la differenza che bastava uscire di casa e fare due passi nella via Paoli per incrociarne lo sguardo. Sempre un po’ malinconico, persino quando alzava la testa e rivolgeva un sorriso abbozzato a chi, con educazione e senza mai violarne la privacy, lo salutava. Era il più grande Rombo di Tuono, come lo aveva soprannominato Gianni Brera. Lo era stato in campo e aveva continuato a esserlo fuori. Hombre vertical – come lo definì Gianni Mura - che non si piegava ai compromessi, alle logiche dell’ambizione, a quelle del denaro.

L'amore per la Sardegna

Gigi Riva aveva visto la Sardegna per la prima volta dall’alto, mentre si trovava su un aereo in volo verso la Spagna per giocare con la Nazionale Juniores, ed era rimasto sconvolto da quella terra completamente buia: “Ma come fanno a vivere in un posto così”, si era chiesto. L’aveva rivista poco dopo, acquistato dal Cagliari, e proprio non riusciva a farsene una ragione. Voleva scappare, tornare a casa con la sorella Fausta che invece provava a convincerlo che era il caso di dare una chance a quella città, a quella terra, a quel popolo. Alla fine cedette e andò a finire che da Cagliari non andò più via, nemmeno quando a chiamare fu la Juventus, nemmeno quando l’accordo tra i club per il suo trasferimento sembrava cosa fatta.
In 14 anni ha regalato al Cagliari uno scudetto, oltre 200 gol tra cui l’iconica rovesciata col Vicenza, tre titoli di capocannoniere della Serie A, il cuore. Le gambe, invece, le aveva sacrificate per l’altro suo grande amore, la Nazionale. Brera lo aveva stroncato prematuramente per il suo usare ostinatamente solo il sinistro: “Un mancinismo così oltranzista lo si può tollerare solo davanti a un fuoriclasse”. Riva un fuoriclasse lo era, Brera se ne sarebbe accorto di lì a poco, cantandone le gesta e arrivando a coniare quel soprannome immortale nel racconto di un 3-1 in casa dell’Inter con lo scudetto cucito sul petto: “Il Cagliari ha subito infilato e umiliato l’Inter a San Siro. Oltre 70.000 spettatori. Se li è meritati Riva che qui soprannomino ‘Rombo di tuono’”.

Di padre in figlio

Ma più di tutto, a Cagliari e alla Sardegna, Riva aveva saputo donare la sua totale comprensione, un affetto sincero e istintivo ricambiato con una devozione totale da un popolo che lo aveva innalzato a dio di una religione pagana celebrata col suo Natale ogni 7 di novembre e la sua Pasqua il 12 di aprile. Di generazione in generazione, di padre in figlio, per oltre 60 anni e per chissà quanti ancora. In un ricordo che si perpetuerà all’infinito, finché ci saranno degli esseri umani a prendere a calci un pallone in uno stadio o su un campetto in terra battuta della periferia. Perché gli uomini talvolta vanno via troppo presto, ma le leggende no, quelle non muoiono mai.

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