Amadeus, recensione episodi 3 e 4: un genio che diventa colpa, tra dominio e punizione

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Paolo Nizza

Paolo Nizza

Introduzione

Negli episodi 3 e 4 di Amadeus, la serie Sky Original accelera verso la tragedia: il talento di Mozart viene progressivamente isolato, normalizzato e infine punito, mentre Salieri consolida il proprio potere trasformando la musica in un’arma politica e morale. Tra lutti, tradimenti, opere sabotabili e un impero distratto dalla guerra, il genio smette di essere dono e diventa colpa. Il racconto si avvicina al suo epilogo, che arriverà il 6 gennaio su Sky e in streaming su NOW con il quinto e ultimo episodio della miniserie.

Quello che devi sapere

Amadeus – Recensione episodi 3 e 4

Dopo la morte del figlio, Amadeus compie una scelta narrativa netta e crudele: il dolore non avvicina, separa. Wolfgang e Constanze non trovano nella musica un terreno comune, ma una linea di frattura. Lei cerca un ritorno alla vita attraverso il corpo, il canto, la possibilità di esistere ancora come donna; lui si rifugia nell’unico linguaggio che conosce davvero, la composizione come flusso ininterrotto.

La serie rifiuta ogni consolazione romantica: l’arte non salva il matrimonio, non sublima il trauma. Anzi, lo amplifica. Mozart non è incapace di amare, ma incapace di fermarsi. La musica non è più mediazione con il mondo, ma rifugio assoluto. Ed è qui che il genio comincia a somigliare a una colpa.

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Salieri Kapellmeister: il potere come amministrazione del talento

La morte improvvisa del Kapellmeister, osservata da Salieri con una freddezza che suona come una sfida diretta a Dio, segna una svolta decisiva. Nessuna punizione, nessun castigo: al contrario, arriva la promozione. Amadeus è chiarissima su questo punto: il sistema non sanziona l’inerzia morale, la premia.

Da Kapellmeister, Salieri diventa il vero architetto invisibile della vita musicale viennese. Non crea, organizza. Non ispira, regola. È il volto moderno del potere culturale: non censura apertamente, ma indirizza, riduce, rende compatibile. Mozart non viene ostacolato perché scandaloso, ma perché ingestibile. Il talento che non accetta compromessi diventa un problema amministrativo.

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Vienna come macchina del consenso

Vienna non è solo un’ambientazione sontuosa: è una macchina di consenso culturale perfettamente oliata. Amadeus la racconta come una città che non rifiuta il genio per incomprensione, ma per autodifesa. Ogni opera di Mozart è una variabile impazzita in un sistema che vive di equilibrio, gerarchie, ruoli ben definiti.

Salieri interpreta questa logica con lucidità glaciale. Non distrugge Mozart, lo espone. Lo mette davanti a scadenze impossibili, richieste di “realismo”, inviti alla moderazione. La serie suggerisce una verità amarissima: il sistema non odia il genio, lo teme perché non può metabolizzarlo. E ciò che non può essere digerito viene lentamente espulso.

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Constanze e Franz: il desiderio come fuga vitale

La relazione tra Constanze e Franz Süssmayr (Jyuddah Jaymes) è uno degli snodi più delicati e controversi della serie. Amadeus sceglie di leggere Constanze non come figura ancillare del genio maschile, ma come corpo e voce che reclamano spazio.

Franz rappresenta ciò che Mozart non riesce più a essere: presenza, ascolto, riconoscimento. Non è un grande compositore, ma è disponibile. Il desiderio non è tradimento romantico, bensì istinto di sopravvivenza. Constanze non abbandona Wolfgang per un altro uomo, ma per sottrarsi a un mondo in cui non esiste più come soggetto.

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La solitudine del genio non è un mito romantico

Uno dei meriti maggiori di Amadeus è la demolizione del mito romantico della solitudine del genio come destino eroico. Mozart non è solo perché superiore, ma perché incapace di tradurre il proprio flusso creativo in una lingua condivisibile nella vita quotidiana.

Will Sharpe lavora su microgesti, silenzi, incapacità di ascolto. Il suo Mozart è sempre altrove, sempre già nella prossima battuta musicale. La serie mostra come questa condizione, che sul piano artistico genera capolavori, sul piano umano produca macerie. La solitudine non è una maledizione sublime: è una conseguenza.

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Le nozze di Figaro: la farsa che dice la verità

Mozart desidera, ma sa che le parole sono pericolose. La vita può essere monotona, ripetitiva, e proprio per questo accetta il flirt della principessa a cui impartisce lezioni di pianoforte. Quel bacio — breve, colpevole, destabilizzante — diventa la scintilla che porta alla genesi de Le nozze di Figaro, un’opera proibita perché dice la verità.

Proibita perché ribalta l’ordine sociale, perché mostra servi più arguti dei padroni, perché smaschera il potere attraverso la leggerezza. Le nozze di Figaro sono una farsa, certo, ma una farsa sovversiva: tutti si travestono, qualcuno si nasconde sotto le vesti dell’altro, si fanno e si disfano amori, Figaro e Susanna si perdono e poi si ritrovano. Bisogna coglierne lo spirito, non la superficie.

E in fondo, con quel “Contessa, perdono”, Mozart sembra tentare di aggiustare anche le proprie nozze, di chiedere una grazia privata attraverso la musica. Con l’aiuto di Lorenzo Da Ponte l’opera arriva finalmente in scena, ma ad attenderla c’è la claque prezzolata da Salieri, pronta a sabotarla. L’epifania della farsa si trasforma così in un insuccesso, aggravato da un’assenza che pesa più di ogni fischio: quella di Constanze. Una sedia vuota in platea, e una delusione indicibile

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Don Giovanni e Lorenzo Da Ponte: l’opera come confessione

Con Don Giovanni, Mozart compone la sua opera più apertamente perturbante. Seduzione, colpa, punizione, desiderio senza redenzione: tutto ciò che nella vita resta impronunciabile prende forma sulla scena.

Nel terzo episodio compare anche Lorenzo Da Ponte, il librettista che affiancò Mozart in tre snodi fondamentali della sua carriera — Le nozze di Figaro (1786), Don Giovanni (1787) e Così fan tutte (1790) — interpretato da Enyi Okoronkwo, personaggio che accompagna e struttura anche il quarto episodio.

Salieri comprende perfettamente la portata dell’opera, ed è per questo che la svuota pubblicamente davanti alla confraternita. Non la ferma perché scandalosa, ma perché sincera. In Amadeus, l’arte che dice troppo viene sempre punita.

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Umiliazione e trasmissione della colpa

L’incontro tra Mozart e il giovane Gregor segna uno dei momenti più crudeli degli episodi 3 e 4. Wolfgang, vittima per tutta la serie di umiliazioni, diventa carnefice. Ripete il gesto del padre, trasmette la violenza ricevuta.

Qui Amadeus smette definitivamente di idealizzare il genio. Mozart non è puro, è ferito. E la ferita genera altra ferita. Il talento non rende migliori: rende più esposti.

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Guerra e fine dell’illusione illuminista

La futura morte dell’imperatore Giuseppe II coincide con l’inizio del conflitto armato che impegna l’Impero sul fronte bellico. La guerra assorbe l’attenzione politica e simbolica del potere, sottraendo spazio alla protezione dell’arte.

Quando Giuseppe II è costretto a tornare al fronte, già minato dalla malattia, Mozart perde non solo un alleato, ma l’ultima figura capace di difendere l’eccezione. In tempo di guerra, il genio diventa un lusso inutile. È in questo vuoto che Salieri prospera.

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Il castigo che Dio non infligge

Il terzo episodio si apre con Salieri alla ricerca di un castigo. Dio non lo punisce. Non per non essere stato la sua voce, non per i piani diabolici, non per l’odio verso Mozart. Il cielo tace.

Se Dio non interviene, Salieri cerca la punizione altrove. La trova nella carne. In una scena di dominio esplicito, chiede a una prostituta di trattarlo come il Pifferaio Magico tratterebbe un topo. La donna lo schiaffeggia, sempre più forte. Schiavo, oggetto, bersaglio. Un rituale femdom che dovrebbe richiamare il castigo divino attraverso l’umiliazione.

Ma nemmeno questo funziona. Nemmeno la violenza rituale placa Dio.
Il silenzio continua.

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Il Requiem: la condanna

La commissione del Requiem chiude il cerchio. Un committente mascherato — Salieri — chiede a Mozart una musica per un defunto. Un Requiem. Il tempo è fissato: sette giorni.

Mozart è debole, squattrinato, solo. E Salieri pronuncia la sua sentenza:

«I pezzi stavano andando al loro posto.
Era debole, squattrinato e solo.
Barcollava sull’orlo del precipizio.
L’ultima cosa che mancava era la mia mano per farlo cadere.
E così scivolammo nell’oscurità.»

L’ultima blasfemia

Alle parole segue il gesto: Salieri copre il crocifisso con il proprio abito. È l’ultima blasfemia contro un Dio messo a tacere.

Mozart è in lacrime. Nel sottopancia compare la scritta: mancano sette giorni alla sua morte.
Non è una previsione. È una constatazione.

Su queste parole terribili e profetiche si chiude la quarta puntata. Amadeus non racconta più una rivalità, ma una dominazione. Il genio non viene sconfitto dal destino, né da Dio. Viene accompagnato fino al bordo. E poi lasciato andare.

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