La recensione della quarta e ultima stagione di Non ho mai..., il teen drama di Netflix (visibile anche su Sky Glass, Sky Q e tramite la app su Now Smart Stick) che racconta le (dis)avventure della studentessa ribelle Devi Vishwakumar: un dramedy adolescenziale dove la “penna” della sua ideatrice, Mindy Kaling, si sente e fa la differenza
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Non ho mai... (titolo originale Never Have I Ever, 2020-2023), dolce ma spumeggiante serie televisiva statunitense creata da Mindy Kaling e Lang Fisher, è un comedy-drama adolescenziale che racconta le vicende della liceale di origini indiane Devi Vishwakumar, una brillante, ambiziosa e loquace teenager alle prese con i primi amori, le amicizie e l’ammissione al college. La protagonista Devi, si trova costantemente in bilico tra l’intraprendere la strada più lunga, ma onesta, o quella più veloce ma inevitabilmente sbagliata e, il più delle volte, propende per la seconda: un comportamento puerilmente provocatorio e impudente, che nasconde in verità un profondo e straziante dolore familiare. Nel mare magnum di teen drama, Non ho mai... è una commedia adolescenziale dove l’influenza dell’ideatrice Mindy Kaling (The Office US, The Mindy Project) non solo si sente ed è riconoscibile, ma fa anche la differenza. I dieci episodi della quarta e ultima stagione di Non ho mai... sono approdati su Netflix l’8 giugno 2023 (visibili anche su Sky Glass, Sky Q e tramite la app su Now Smart Stick).
L’ex tennista John McEnroe: un narratore d’eccezione che rompe la quarta parete
Il primo dei tratti distintivi e caratteristici di tutte e quattro le stagioni di Non ho mai..., è la presenza del voice over dell’ex tennista John McEnroe nei panni di sé stesso, che fa la telecronaca dei drammi adolescenziali di Devi Vishwakumar (Maitreyi Ramakrishnan) e degli altri studenti della Sherman Oaks. La presenza di John McEnroe come narratore extradiegetico, ovvero come voce che, dall’interno dell’opera, fonda e origina la diegesi, va ad abbattere quel muro, virtuale ma fondamentale, che separa il mondo reale dello spettatore da quello finzionale della narrazione. Se nella letteratura, infatti, la riconduzione della storia a un narratore è un processo che non crea problemi, la questione del narratore nel cinema, e nella lunga serialità, è un complesso e tuttora aperto dibattito che origina incertezze e confusione: come dice lo storico dell’arte Rudolf Arnheim, i film (e le serie), piuttosto che raffigurare la realtà, producono un mondo imitativo, ma l’istanza extradiegetica di un narratore onnisciente, che va a ricordare di non avere di fronte un contesto reale, rompe il necessario patto tra mondo narrato e spettatore, introducendo una metalessi, ovvero una confusione di livelli. John McEnroe, narratore di Non ho mai..., ovvero di un prodotto di finzione, è consapevole di esserlo e ha infatti il potere di sospendere la narrazione per rivolgersi direttamente allo spettatore reale: un po’ come per il concetto dello sguardo in camera, l’introduzione del narratore è un escamotage con cui Mindy Kaling va sapientemente a interpolare i codici del mezzo filmico; alterazioni testuali di cui è pieno anche il mockumentary The Office, di cui la stessa Kaling, infatti, è sceneggiatrice. In Non ho mai... il compito della narrazione viene sempre affidato all’ex tennista John McEnroe tranne per due episodi, in cui la narratrice è la super modella Gigi Hadid, e per un episodio, in cui a fare la telecronaca è l’attore Andy Samberg (Brooklyn Nine-Nine).
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La quarta stagione di Non ho mai...: finisce il liceo, inizia la resa dei conti
Dopo tre stagioni in cui la frizzante Devi aveva diviso il pubblico tra la cotta per il ribelle Paxton Hall-Yoshida (Darren Barnet) e l’amore-guerra con il secchione Ben Gross (Jaren Lewison), con cui ha perso la verginità ma con cui continua a contendersi il titolo di miglior studente del liceo, la quarta e ultima stagione di Non ho mai... porta Devi alla resa dei conti, non più tra le scelte amorose, ma tra quelle di vita. L’ultima stagione, infatti, è la più lenta delle quattro, perché anche gli adolescenti protagonisti sono cresciuti, sono più riflessivi e vulnerabili. Dopo tre stagioni di certezze, in cui chi era convinto di diventare attore, come Eleanor Wong (Ramona Young) o chi era convinto di studiare robotica, come Fabiola Torres (Lee Rodriguez), deve ora scontrarsi con l’idea che quello che ha sempre voluto fare, non è per forza ciò che sarà destinato a fare. L’ironia cinica della quarta stagione, mai didascalica, mostra una realistica parabola di crescita, che ribalta le condizioni di base della prima stagione: i più popolari, come Paxton, stanno ancora crescendo, in quanto bloccati nel purgatorio della popolarità liceale che si scontra con la realtà della vita adulta, mentre i più emarginati, sono riusciti a ritagliarsi un loro posto nel mondo.
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Non ho mai...: un brillante teen drama dai colori pastello
Con la quarta ed ultima stagione, Non ho mai... si riconferma una sorta di Euphoria al contrario: un teen drama dai colori pastello, dove vengono propedeuticamente trattati temi come integrazione, disturbi alimentari, gestione della rabbia e mascolinità tossica ma anche, dolcemente, l’imbarazzo delle prime volte, gli impacciati tentativi di approccio tra adolescenti e la timida consapevolezza del sé. Fin dall’inizio, l’ironia di Non ho mai..., fatta da puntali riferimenti all’attuale industria culturale e da un brillante ritmo narrativo, viene sospesa dalla tragica elaborazione del lutto di Devi per la morte del padre: la prima stagione, infatti, si apriva con l’infarto del padre di Devi, avvenuto davanti ai suoi stessi occhi. Da quel momento, niente era più stato come prima: la mancanza della figura paterna, a cui Devi era molto legata, l’ha condotta a un dolore irrazionale, fatto di costanti sedute con la psicologa Jamie Ryan (Niecy Nash), ricorrenti scelte sbagliate e continui bizzarri tentativi di tornare alla normalità, ma soprattutto, a un complesso rapporto con la severa madre Nalini (una brava Poorna Jagannathan). La quarta stagione, è la prima in cui i flashback di Devi con il padre sono ridotti all’osso e questo perché, sottilmente, il lungo e complesso processo di metabolizzazione del lutto, dopo gli incastri tra le rigide tradizioni indiane della madre Nalini e l’identità ormai californiana della figlia Devi, è giunto finalmente a un punto di svolta per entrambe. L’unico flashback della quarta stagione, ci mostra infatti una Devi bambina che, dopo aver detto di voler andare, un giorno, "all’università delle principesse", si sente dolcemente rispondere dal padre che quella scuola non esiste ma che, per assonanza, "esiste l’Università di Princeton", e la quarta stagione, infatti, si conclude con l’ammissione di Devi proprio a Princeton. Dopo aver finalmente ufficializzato il suo rapporto d’amore con Ben, e dopo i tanti umani sbagli compiuti, Devi può finalmente partire per il college e proseguire con la sua vita, il che non significa aver dimenticato, ma essere andata avanti.