The Last of Us, Neil Druckmann ha parlato delle differenze tra serie e gioco

Serie TV

Manuel Santangelo

©IPA/Fotogramma

Neil Druckmann ha curato in diverse fasi la produzione dello show ispirato al videogioco di cui è stato creatore, arrivando persino a lavorare alla regia di un episodio. Un’esperienza che lo ha aiutato a capire le differenze che esistono tra un prodotto videoludico e uno pensato per essere “solo”guardato. Differenze che si acuiscono ancora di più quando ci si trova ad approcciare sequenze ricche di azione

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Prima dell’uscita della serie tv di The Last of Us sia lo showrunner Craig Mazin che il creatore del videogioco Neil Druckmann (massivamente coinvolto nella produzione dello show) avevano assicurato che il nuovo progetto sarebbe stato fedele al materiale originale. Certo nessuno si sarebbe aspettato tuttavia di rivedere negli episodi una ricreazione tanto fedele del mondo distopico in cui sono immersi Joel ed Ellie, in un adattamento che in alcuni casi è sembrato quasi copiare pedissequamente il capolavoro videoludico cui si ispira. Come è ovvio che sia però, videogame e serie tv restano medium diversi e, nell’approcciarsi alla regia di uno degli episodi, lo stesso Druckmann ha evidenziato delle differenze inevitabili che lo hanno messo di fronte a nuove sfide.

Un mondo uguale ma diverso

Neil Druckmann ha seguito lo sviluppo della serie in diverse vesti e si è sorpreso di quanto in realtà la direzione di un’opera videoludica sia per certi versi simile a quella di un prodotto per il cinema o la tv. “Ho avuto modo di essere solo un produttore quando abbiamo girato il primo episodio e di vedere il processo. La prima cosa che mi ha sorpreso è quanto sia simile. Sai, lavorare con gli attori è lavorare con gli attori. Si parla di motivazioni, di storia, di chi sono e di blocchi. Lavorare con le sceneggiature è molto simile. La direzione artistica è del tutto simile”, ha detto la mente dietro The Last of Us a Comicbook, pur senza nascondere quanto permangano comunque enormi differenze nel passaggio dal controller al telecomando. Una delle più immediate è ovviamente il lavoro previo che deve venire fatto nelle serie prima di girare ogni scena, essendo in questo ambiente molto più difficile operare correzioni sostanziali in un secondo momento: “La grande differenza è l’ordine di lavorazione. Nel gioco, possiamo realizzare una scena oggi – la fase di mocap – ma la versione finale, potrebbe essere sviluppata settimane, mesi o anni dopo. A quel punto possiamo pensare alle angolazioni della telecamera, ai costumi e agli effetti speciali. Qui bisogna pianificare tutto in anticipo, perché una volta che si dice ‘azione’, quello che si vede nell’inquadratura è più o meno quello che si vedrà nello show”. Questa maggiore attenzione a ogni dettaglio prima di iniziare davvero “a creare la scena” si evidenzia poi soprattutto nelle sequenze d’azione, che sono quelle dove è fondamentale che tutto sia coreografato nei minimi particolari.

LOS ANGELES, CALIFORNIA - JANUARY 09: Neil Druckmann attends HBO's "The Last of Us" Los Angeles Premiere on January 09, 2023 in Los Angeles, California. (Photo by Jeff Kravitz/FilmMagic for HBO)

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Motore, ciak, azione (diversa)

Va comunque evidenziato che le sequenze più action sono le più difficili per chi, come Druckmann, finisce per raccontare sostanzialmente la medesima storia attraverso due medium diversi. Lo ha ammesso lui stesso in un lungo articolo sul PlayStation Blog, un pezzo dove pone l’accento su un aspetto che a rifletterci bene è forse il più ovvio: in un videogioco bisogna che il giocatore viva l’azione in prima persona, nella maniera più immersiva possibile. Ciò non è necessario, anzi può essere deleterio, quando la persona dall’altro lato dello schermo si limita ad essere un semplice spettatore: “Una delle più grandi differenze per una sequenza d’azione è che non la metteremmo quasi mai in un filmato del gioco perché i giocatori vogliono viverla. Queste sono le parti in cui vogliamo dare il controllo al giocatore e dire: ‘Affronta questa situazione’ e fargli sentire la minaccia. Non puoi farlo con la serie tv. Quindi, ciò di cui parla molto lo show, specialmente uno come questo, è essere moderati. Quando qualcosa è orribile come questa minaccia, è più spaventoso quando non la vedi”.

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La paura più grande è quella che non vedi

Druckmann fa in questo senso l’esempio dei Clicker, che non vengono mostrati praticamente mai in piena luce. A volte li vediamo anche solo riflessi in un vetro: la percezione della loro presenza mette in ansia quasi più della loro effettiva minaccia. “Anche alla fine dell’episodio, quando quell’orda di Infetti sta arrivando da Tess, li teniamo fuori fuoco perché è più inquietante non vederli, sentire solo la loro presenza. Ed è più spaventoso, specialmente nella serie tv, vedere la paura negli occhi del personaggio. Quindi, gran parte della regia, per quanto riguarda dove metti la telecamera, è: ‘Mostriamo la paura dei personaggi il più possibile, anche più della cosa che li sta inseguendo’”. Non c’è un modo di raccontare di per sé migliore di un altro, semplicemente in un gioco bisogna avere lo spazio (anche visivo) per potersi muovere e agire concretamente, fino a imparare le meccaniche e il ritmo della storia. Forse uno dei motivi per cui tanti adattamenti cinematografici di opere videoludiche hanno fallito in passato è stato proprio il non rendersi conto che l’azione era strumentale o comunque parte di quel linguaggio: non andava traslata allo stesso modo sulla pellicola. “Con la serie tv il nostro approccio è stato ‘Come facciamo a renderle ogni sequenza d’azione legata ai personaggi?’ Ciascuna scena deve accadere considerando i personaggi. Non può essere puramente spettacolare”, ha dichiarato Neil Druckmann dimostrando di avere capito che con la serie di The Last of Us stava giocando a tutto un altro gioco. La buona notizia è che al momento anche stavolta il risultato pare all’altezza delle grandi aspettative. Almeno per ora la serie in onda da noi su Sky sembra ben lontana dal rischiare il “game over”.

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