Enzo Jannacci, 10 anni fa l'addio al cantautore: le sue canzoni indimenticabili

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L'artista-dottore ha registrato quasi 30 album ed è ricordato come uno dei pionieri del rock and roll italiano. Da Una fetta di limone a La fotografia, ecco alcuni tra i suoi brani più belli

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Enzo Jannacci moriva 10 anni fa, il 29 marzo 2013, all’età di 77 anni. Il cantautore e dottore (cardiologo) è stato il simbolo di cinquant'anni di carriera senza schemi fissi. Ha registrato quasi 30 album, ed è ricordato come uno dei pionieri del rock and roll italiano. Da Una fetta di limone a La fotografia, ecco alcuni tra i suoi brani più belli.

Una fetta di limone (1960)

Con il nome I Due Corsari, Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci diedero vita ad un duo musicale che, tra il 1958 e il 1960, si fece notare soprattutto per i testi umoristici. La canzone più famosa composta in quel periodo è Una fetta di Limone. Il brano è un esempio di rock demenziale: i due sono corteggiati da una signora, ma a loro interessa solo avere “una fetta di limone, una fetta di limone nel tè”.

El portava i scarp del tennis (1964)

Scritta in collaborazione con Dario Fo, nel 1964, è una canzone in dialetto milanese. Il riferimento alle scarpe da tennis è legato al fatto che in quegli anni le portavano principalmente le persone appartenenti alle classi sociali più disagiate. Il testo è la storia di un senzatetto “che purtava i scarp del tennis” e che da tempo “rincorreva un suo sogno d’amore”.

L’Armando (1964)

La canzone si fece notare nel panorama musicale di quegli anni per la storia amara ma divertente di un personaggio che uccide il gemello che lo opprimeva da tutta una vita. “Che si è aperta la portiera, è caduto giù l’Armando”, canta Jannacci, in una canzone-confessione dove però spunta, alla fine, anche un alibi: “Io c’ho l’alibi, a quell’ora sono quasi sempre via”.

 

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Faceva il palo (1966)

In questo brano c’è tutta l’ironia geniale di Jannacci che canta di un “palo” delle rapine della Banda dell’Ortica, che, però, “è sguercio”, non ci vede quasi nulla. Arrivano i carabinieri e lui non se ne accorge, così le forze dell’ordine arrestano tutti quanti.

Sei minuti all’alba (1966)

Questa canzone racconta di una vicenda "di famiglia" per Jannacci. L’aveva infatti scritta per il padre che era stato in galera per aver fatto parte della Resistenza. In via Rovello, a Milano, l’uomo fu anche torturato. E anche se non gli comminarono la pena di morte, Jannacci pensava a lui quando scrisse Sei minuti all’alba, storia di un partigiano condannato a morte.

Vengo anch’io, no tu no (1967)

Si tratta indubbiamente di uno dei più grandi successi di Jannacci: il brano fu scritto a sei mani con Dario Fo e Fiorenzo Fiorentini e scalò in pochissimo tempo le classifiche di vendita italiane. Ancora una volta, alla base di tutto, c’è l’ironia. La storia è quella di un uomo che viene continuamente respinto, perfino dal suo stesso funerale. Un “inno”, per così dire, agli esclusi, a chi vive ai margini.

 

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E la vita, la vita (1974)

Il brano, attribuito ai soli Jannacci e Pozzetto, è in realtà il risultato di un lavoro di gurppo a cui hanno contribuito anche Cochi e Beppe Viola. Il brano rese indimenticabile “Canzonissima ’74”, grazie anche alla presenza di Cochi e Renato che interpretarono ironicamente ogni frase di E la vita, la vita mettendosi a tutti gli effetti nei panni di "chi continua a sbagliare il rigore", o di "chi un tempo ha fatto furore”. Indimenticabile il ritornello: 

 

E la vita, la vita
E la vita l'è bela, l'è bela
Basta avere l'ombrela, l'ombrela
Ti ripara la testa
Sembra un giorno di festa

La fotografia (1991)

La canzone riprende un fatto di cronaca nera legato alla mafia e parla di un bambino freddato con un colpo di pistola, in Sicilia, perché sospettato di aver assistito "a qualcosa che non doveva vedere". "Sono una persona anziana, ormai - aveva spiegato Jannacci, che in realtà nel 1991 aveva solo 56 anni - e vado a cantare su un palcoscenico abbastanza grosso dove mi sentiranno anche i giovani. Perciò tutti si aspettano che dica qualcosa di importante".

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