In Evidenza
altre sezioni
Altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

Un anno dopo la morte di George Floyd, le 15 canzoni di protesta più famose

Approfondimenti

Marco Agustoni

Brani come Alright di Kendrick Lamar e This Is America di Childish Gambino,  diventati la colonna sonora delle proteste in USA causate dalla morte di George Floyd, si vanno ad affiancare ad altri classici della musica "da combattimento"

Condividi:

Le proteste che hanno sconvolto gli USA nell'ultimo anno provocate dalla morte di George Floyd durante un fermo di polizia, hanno trovato la loro colonna sonora. Canzoni amatissime come Alright di Kendrick Lamar e This Is America di Childish Gambino, già associate al movimento Black Lives Matter, sono ormai parte integrante di cortei e manifestazioni.


Questi brani, in grado di incarnare alla perfezione lo spirito del tempo, si vanno ad affiancare ad alcuni grandi classici che sono parte integrante tanto della storia della musica, quanto della storia delle battaglie per i diritti civili. Ecco alcune delle migliori canzoni di protesta.

Canzoni di protesta, le più conosciute

We Shall Overcome

Derivante in origine da un canto gospel di inizio XX secolo, mutato a più riprese nel tempo fino a consolidarsi nella sua forma attuale poco dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale, questo brano è stato interpretato da tantissimi artisti, fra i quali non si può non menzionare Joan Baez, ed è diventato un simbolo della battaglia per i diritti civili negli Stati Uniti.

approfondimento

George Floyd, il remix di Childish Gambino è l’inno delle proteste

Billie Holiday – Strange Fruit (1939)


Difficile, all’epoca, trovare una canzone, tanto più interpretata da un’afroamericana, che parlasse in maniera così esplicita della piaga del razzismo. Eppure, l’intro della canzone cantata da Billie Holiday (ma scritta da Abel Meeropol) lascia poco spazio alle interpretazioni: “Gli alberi del sud portano uno strano frutto. Sangue sulle foglie e sulle radici. Corpi neri penzolano nella brezza del sud”.

 

Barry McGuire – Eve of Destruction (1965)


Scritta da P.F. Sloan ed eseguita da numerosi musicisti, questa canzone di protesta contro l’ingiustizia sociale, l’orrore della Guerra del Vietnam e la minaccia nucleare è stata portata al successo dalla versione di Barry McGuire.

 

approfondimento

Black Lives Matter, la playlist dedicata al movimento su Spotify

Quilapayún - El pueblo unido jamás será vencido (1970)


Inizialmente suonata dal gruppo cileno Quilapayún, ma resa celebre in tutto il mondo dalla versione dei più popolari Inti-Illimani, questa canzone inneggia alla fratellanza dei popoli oppressi, che soltanto unendo le forze possono combattere contro lo sfruttamento. Divenne un inno di protesta in seguito al colpo di stato del generale Pinochet ai danni del presidente cileno Salvador Allende.

Gil Scott-Heron – The Revolution Will Not Be Televised (1971)


“La rivoluzione non diventerà migliore con la Coca-Cola. La rivoluzione non combatterà i germi che causano l’alito cattivo…”. Insomma, la rivoluzione è qualcosa di più di una pubblicità di quart’ordine e non finirà risucchiata nel vortice televisivo, argomenta l’originale artista di Chicago nel suo poema musicato.

approfondimento

George Floyd, è Blackout Tuesday: il mondo dello spettacolo si ferma

Bob Marley & the Wailers – Get Up Stand Up (1973)


Ispirata da un viaggio di Bob Marley ad Haiti, dove il profeta del reggae rimase colpito dalla povertà della popolazione, questa canzone di protesta divenne in breve emblematica della lotta degli ultimi contro le ingiustizie del mondo. Non un semplice lamento, ma un invito all’azione: “Alzati e combatti per i tuoi diritti”.

 

Bob Dylan – Hurricane (1976)


Bob Dylan fa della tragica vicenda del pugile Rubin Carter, detto Hurricane, un emblema del razzismo negli Stati Uniti: a più riprese nei guai con la giustizia, nel 1966 fu condannato a tre ergastoli per un triplice omicidio, al termine di un processo a dir poco lacunoso. Fu scarcerato soltanto nel 1985. Da allora è diventato uno dei simboli delle vittime di errori processuali e del trattamento giudiziario iniquo a cui sono sottoposti ancora oggi molti afroamericani.

Pink Floyd – Another Brick in The Wall (Part 2) (1979)


Per quanto non fosse una canzone di protesta in senso stretto, la seconda parte del trittico Another Brick in The Wall tratto dall’album The Wall è diventato l’inno di quanti lamentano che conformismo sociale e acquiescenza vengano imposti a forza già a partire dai banchi di scuola. In Sud Africa il brano venne bandito dopo essere stato adottato dai promotori di una protesta contro le ineguaglianze nella scuola ai tempi dell’Apartheid.

approfondimento

George Floyd, le reazioni dello spettacolo ai fatti di Minneapolis

U2 – Sunday Bloody Sunday (1983)


La canzone che regalò la fama alla band di Bono e soci e che ancora oggi è uno dei loro brani più noti racconta del tristemente noto Bloody Sunday del 30 gennaio 1972, durante il quale un battaglione di soldati britannici aprì il fuoco contro una folla di manifestanti a Derry, nell’Irlanda del Nord, uccidendone quattordici. “How long must we sing that song?”, ovvero “per quanto ancora dovremo cantare questa canzone?”, si domanda Bono. La risposta implicita è: finché non termineranno simili atti di violenza indiscriminata.

The Specials – Free Nelson Mandela (1984)


L’attivista politico e futuro presidente del Sudafrica Nelson Mandela era ormai in carcere da più di vent’anni quando Jerry Dammer e soci composero il coinvolgente inno che ne chiedeva la liberazione, contribuendo a farne conoscere le vicissitudini a una platea più ampia e non necessariamente avvezza con le questioni di lotta per i diritti civili.

Bruce Springsteen – Born in the USA (1984)


Talvolta erroneamente interpretato come un grido d’orgoglio americano, il potente brano del Boss denunciava invece il trattamento riservato ai veterani del Vietnam, prima spediti in guerra e poi, una volta tornati in patria come relitti, abbandonati a se stessi.

approfondimento

Born in the U.S.A.: nell'84 usciva l’album capolavoro del Boss. FOTO

Public Enemy – Fight the Power (1989)


“Elvis è stato un eroe per molti, ma non ha mai rappresentato niente per me”: in questa accorata canzone di protesta non tanto contro il potere in sé, quanto contro l’abuso di potere, realizzata per la colonna sonora di Fa’ la cosa giusta di Spike Lee, Chuck D rifletteva in maniera lucida su quanto poco fossero rappresentati all’epoca gli afroamericani nell’immaginario culturale a stelle e strisce.

 

approfondimento

Spike Lee: il corto "3 brothers" in memoria di Raheem, Garner e Floyd

Rage Against the Machine – Killing in the Name (1992)


Composta pochi mesi dopo le rivolte causate dal verdetto a favore dei quattro agenti della polizia di Los Angeles responsabili del brutale pestaggio di Rodney King, questa incendiaria canzone dall’album di debutto dei Rage Against the Machine è un pesantissimo atto di accuso contro il razzismo istituzionalizzato degli USA, tanto da sostenere esplicitamente che vari membri delle forze dell'ordine siano affiliati al Ku Klux Klan.

 

Kendrick Lamar – Alright (2015)


“And we hate po-po. Wanna kill us dead in the street for sure”, ovvero “odiamo la polizia, perché ci vuole uccidere per le strade”. Suona tristemente attuale l’atto di denuncia di Kendrick Lamar, contenuto nel suo album-capolavoro To Kill A Butterfly, e non per niente è una delle canzoni di protesta più suonate alle manifestazioni associate al movimento Black Lives Matter.

 

approfondimento

Chi è Kendrick Lamar

Childish Gambino – This Is America (2018)


Grazie anche a un potentissimo videoclip diretto da Hiro Murai, questo brano di Childish Gambino (ovvero l’attore/musicista/sceneggiatore Donald Glover) ci offre uno dei più impietosi ritratti degli Stati Uniti, irreparabilmente ossessionati da armi da fuoco e violenza.

approfondimento

"This is America", il video di Childish Gambino che scuote gli Usa