I Ministri e l'album Aurora Popolare: "Il nostro pensiero non scende a compromessi"
Musica Credit Chiara Mirelli
La band milanese torna con un nuovo progetto dopo tre anni. Il tour debutta il 24 ottobre a Roncade. L'INTERVISTA
Aurora Popolare segna il ritorno discografico dei Ministri a tre anni dall'ultimo progetto, Giuramenti. Federico Dragogna, Davide Autelitano e Michele Esposito cantano la rabbia e l'attesa, le promesse e i fallimenti di una generazione; sottolineano il fatto che solo nella completa disillusione è possibile imparare di nuovo a sperare. Tra riff serrati, testi taglienti e quella carica emotiva che da sempre li contraddistingue, i Ministri confermano ancora una volta di essere una delle voci più coerenti del rock italiano contemporaneo. Con sette album all'attivo, due EP e quasi due decenni di concerti alle spalle, i Ministri non hanno perso la carica, anzi, sono più affamati che mai. Il tour, curato da Locusta Booking, partirà il 24 ottobre da Roncade e proseguirà, in questa prima fase, fino al 22 novembre (Molfetta) per un totale di otto date.
Partiamo dalla storia di Aurora Popolare: quando ha iniziato a prendere forma e come ci avete lavorato? Sono tutte canzoni scritte in tempi recenti?
Niente c'era nel cassetto, ci siamo resi conto che il materiale che avevamo comunicava internamente, era per noi un concept e ci aggiungiamo che qualche brano è rimasto fuori per fare album più compatto. Come gestazione circa un anno e mezzo.
Il tema è la fine delle illusioni: quando la musica ha fallito? Già negli anni Sessanta Bob Dylan, Joan Baez e altri promettevano che la musica avrebbe migliorato il mondo. Risale a quell'epoca l'inizio della fine?
Andando anche più indietro pure Giacomo Leopardi cantautore parlava del tramonto delle illusioni, è un tema che ha a che fare con l'esistenza, su quanto la giovinezza sia illusoria. Affrontare la musica come illusione rispetto al collettivo è un approccio che risale agli anni Sessanta, è il lascito della generazione dei nostri genitori. Quando gli uomini hanno pensato di cambiare la giustizia nel mondo? È un discorso culturale, servono canzoni funzionali e con più contenuto. Ma poi c'è sempre un ripartire. Noi viviamo un mondo musicale diverso rispetto agli anni Sessanta e Ottanta ma resta forte l'illusione di cambiare le cose con la musica, il grande lutto è stato il G8 di Genova. Vogliamo offrire strumenti per le generazioni che verranno, regaliamo una aurora.
Cosa rappresenta per la vostra generazione il sentimento politico? Non riuscire a immaginare un futuro è la conseguenza della perdita del sentimento politico?
Quale è l'uovo e quale la gallina? C'entra anche la tecnologia che progredendo cambia la nostra esistenza: il nostro primo disco era in una colonnina d'ascolto, oggi molti non sanno cosa fossero. La collettività si è diluita e come guidati da un pifferaio magico ci ha portato in territori inconsapevoli. Come ci funziona il cervello rispetto alla tecnologia e alla mancanza di umanità? Se la musica tiene la connessione con la realtà la tecnologia è meno una minaccia.
In Buuum dite "io come tutti sono nato ieri e rimando a domani": è il ritratto di una indolenza generazionale?
Di una rabbia repressa generazionale e di una fatica rispetto al rielaborare tutte le informazioni che quotidianamente riceviamo. Eppure l'altro giorno con le manifestazioni a favore della Palestina è successo qualcosa di rivoluzionario in Italia, stile 1978. Eppure la preoccupazione del governo è riabilitare Kirk.
Piangere al Lavoro è la vostra idea di nichilismo? È l'immagine di una umanità che non ha più obiettivi?
È una fotografia. Veniamo da una città, Milano, che ti leva il tempo, non permette di costruire passioni come la musica stessa. Così entra in crisi modello culturale, non hai possibilità di pensare. Piangere al lavoro è una debolezza consentita. Il pezzo si muove nel nostro mondo, non parliamo di miniere, fabbriche e di chi viene sfruttato nel Bangladesh, restiamo nel nostro ambito. Ci siamo dimenticati delle lotte fatte per anni per le tutele dei diritti del lavoro.
In Poveri Noi citate Stalingrado: è considerata la battaglia più importante della Seconda Guerra Mondiale, lì Hitler ha iniziato a perdere la guerra: in senso metaforico potrebbe oggi essere "la scusa per farcela"?
È un riferimento agli Stormy Six dunque è anche un omaggio a loro. C'è sempre stata l'idea di un assedio anche dopo che ne sei venuto fuori. È mettere di fianco la classe media e una battaglia storica.
Che differenza c'è tra il vostro "Dio che è morto ma non lo sa" e il Dio è Morto di Francesco Guccini? Il suo parlava di una generazione preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata. Il vostro di che parla?
Parla... è un pezzo di speranza verso le terre promesse. È un ideale che percorre le strade e fa parte di questo mondo occidentale. Nel bene e nel male abbiamo un idealismo antico.
Aurora Popolare mi ha ricordato il libro di Molnar I Ragazzi della Via Pal: vi sentite un po' portatori di valori sani circondati da invasori prepotenti? L'eroismo oggi è difendere l'onore?
Non siamo portatori di valori sani, la rete è già piena di chi ostenta valori buoni. Noi sappiamo di essere imperfetti e ci esprimiamo in maniera non ortodossa, nella scorrettezza c'è una verità. Portiamo una foto del nostro pensiero che non scende a compromessi. Più che risposte ci poniamo domande. Eroismo lo è difendere l'onore. Aggiungiamo che noi ci gestiamo tutti da soli, è il nostro solo sbattimento.
Franco Battiato in Sentimiento Nuevo parlava delle sirene di Ulisse che incatenano ed era bellissimo perdersi in quell'incantesimo; in Squali nella Bibbia voi dite "le senti le sirene"? Sono quelle stesse sirene ormai senza incantesimi oppure è un urlo di allarme per svegliare l'umanità?
Il pezzo parla semplicemente delle alternative di narrazione che sono citate nelle nostre canzoni. Comunque la risposta è no, se avessimo trovato la soluzione dovremmo puntare verso gli Appennini.
I Ministri si sentono buoni in un mondo che cerca gli scemi per sentirsi geniale?
No, se no andremmo a fare i partigiani. Quel tipo di bontà e purezza, che sono troppe, le lasciamo ad altri.
Alla fine possiamo dire che nonostante questo mondo poco accogliente, deve esserci sempre l'invito "vieni con me a vedere cosa ci aspetta avanti"?
Assolutamente. Ci hanno fatto una testa gigante le generazioni precedenti su come si combatte e sulle formule politiche: non ci siamo impigriti ma la disillusione l'abbiamo vista. Siamo la prima generazione che ha subito il fallimento di chi ci ha preceduto.
Cosa potete anticiparmi del tour?
Ci sarà tanto di questo disco, soprattutto nella prima parte, e poi riarrangiamo un po' di cose anche per sorprenderci noi. È costruito seguendo un filo logico, abbiamo scelto i pezzi che suonano giusti.