Davide Shorty, il disco Nuova Forma nato tra “mille limitazioni” e un incendio
MusicaIl cantautore siciliano arriva per la prima volta in Sardegna il 5 agosto al Festival Abbabula, evento musicale che, dal 16 luglio al 12 agosto, intreccia generi, linguaggi e visioni portando in scena oltre venti artisti italiani e internazionali tra Sassari, Sennori e Alghero. Shorty si esibisce accompagnato dalla DisOrchestra, una big band di giovani musicisti e musiciste sardi, in un live speciale pronto ad accogliere e stupire il pubblico
Una nuova fase per Davide Shorty, nome d’arte del cantautore siciliano Davide Sciortino, definita ma non definitiva. L'artista continua a cambiare ed evolvere: una vita come cittadino del mondo mentre l’hip hop resta il suo centro, e il mare delle coste siciliane il luogo dove tornare per ritrovarsi.
Il suo ultimo album, intitolato Nuova Forma e pubblicato a febbraio 2025, è il risultato di un periodo di profonda riflessione, innescata da un evento sconvolgente, ma anche un dialogo con un sé a volte stanco, a volte perso, ma sempre pronto ad accogliere la bellezza delle fragilità e le diverse, inaspettate direzioni che la vita può prendere.
La voce avvolgente e le tonalità soul e jazz di Shorty arrivano per la prima volta in Sardegna, a Sassari, il 5 agosto, all’Abbabula Festival. Il live, aperto da Davide Moica e prodotto da Le Ragazze Terribili, sarà un appuntamento diverso dalle altre date del tour estivo visto che ad accompagnare Shorty ci sarà la DisOrchestra, una big band di giovani musicisti e musiciste sardi.
Che tipo di live stai portando in giro per l’italia con il tour di Nuova Forma e che performance vedremo in Sardegna?
È la mia prima volta in Sardegna. Da isolano, andare nell’altra isola è tipo ‘wow finalmente’. Sarà un live diverso perché non ho mai suonato con la DisOrchestra. Io di solito giro con 4 elementi, questa volta saranno molti di più. Conosco Ragazze Terribili, che è il collettivo che organizza il festival, me ne avevano parlato e quando mi hanno chiamato non potevo rifiutare. Sarà molto interessante vedere come hanno arrangiato il live. È pazzesco vedere che ci sono musicisti che imparano quegli stessi brani che ho scritto nella mia cameretta, con mille limitazioni. E poi è emozionante vedere la gente che ti ricanta in faccia i cazzi tuoi, sono comunque esperienze della mia vita, vederle coinvolte è molto denso.
Quando parli della genesi del disco, citi spesso un evento che ha sconvolto la tua vita: l’incendio del tuo studio di Londra nel 2023 in cui avevi detto di aver creato la tua “situazione ideale”. Dopo questa esperienza, è cambiato il tuo concetto di felicità?
Nì. Il mio concetto di felicità varia. Sentirsi visto, sentirsi compreso mi dà felicità, mi fa sentire completo. La felicità è anche un po’ di solitudine. Ci sono tante cose importanti che possono renderti felice. Ho riflettuto molto sul fatto che quando la vita fa certe cose la soluzione a volte è non resistere ma accogliere. In inglese si dice 'Let things unfold'.
La scrittura per te fa parte di un processo di autoterapia. Portare parole così personali negli eventi dal vivo, davanti a persone che ti osservano e ti ascoltano, che fase di questa autoterapia è?
È molto fluida come cosa, cambia di continuo, a volte vai indietro, a volte vai avanti. Quando scrivi ti guardi dall’interno, quando finisci ti osservi da fuori.
La parte della performance è uno sfogo, inizi a parlare, parlare, parlare e processi tutto. Mi sento sempre molto coinvolto nelle canzoni, nelle melodie. I cantanti devono stare attenti alla voce e ci sono dei punti di quello che scrivo che, delle volte, tendo a cantare fino a farmi male, come se quello si aggiungesse alla sensazione che sto provando.
Succede spesso con un brano che spesso porto con me, di Rosa Balistreri, una cantautrice siciliana che mi ha influenzato tanto. Si chiama Cu ti lu dissi. Provo una sensazione di sofferenza e di forza. È come quando giochi con le cicatrici, ti fa male ma continui a toccarle.
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Che aspetto ha la tua nuova forma?
Cambia di giorno in giorno. Il disco è una fotografia ma dal vivo cambia a seconda del contenitore, del posto, delle persone che ascoltano.
Spero che, in ogni caso, sia la forma dell’accoglienza. Spero che quello che cantiamo e suoniamo possa assumere un significato nella vita di chi ascolta e questo non ha una forma fissa. Come dice Ghemon, nessuno è una cosa sola. Siamo uno spettro di cose, e navigare in questo spettro ti fa assumere diverse forme.
Ti senti un personaggio in cerca d’autore?
Ci devo riflettere. Delle volte sì. Altre sono un autore e basta, che non riesce a essere personaggio, faccio fatica a scindere me stesso, a separare Davide da Davide Shorty. Quando salgo sul palco ci sono momenti in cui devo essere personaggio, mi serve come armatura, non sono più io ma un canale per la musica. Allo stesso tempo non riesco a separare quello da ciò che sono sotto il palco.
Nel tuo disco c’è anche una riflessione sull’essere uomo e sui rapporti umani contemporanei. Immaginiamo per un attimo di essere nel futuro e di guardarci indietro, quale sarebbe il prototipo che incarna il nostro tempo?
È pieno di contraddizioni. Mi viene da pensare a una persona con una identità di genere e un orientamento sessuale fluidi, con un lato artistico in contrasto con la sensazione di dover fare qualcosa di più pragmatico. Una persona confusa dal mondo in cui vive perché non trova spazio per esprimersi completamente. Una figura discriminata e marginalizzata ma determinata a farsi valere.
Spesso parli anche di una persona alla continua ricerca di connessioni autentiche…
Una persona affamata di connessioni ma che delle volte non sa neanche esprimere questo bisogno. È talmente difficile nel mondo in cui viviamo trovare un determinato tipo di connessioni… Delle volte però siamo proprio noi a non saperne esprimere la necessità.
In Lacrime di felicità dici “Non mi fermo da anni, ho quasi smesso di contarli. Così si diventa grandi. Forse dovrei riposarmi”, stai riuscendo a fermarti e a trovare punti di riferimento?
Il mare. Delle volte ho bisogno di mettermi davanti al mare, nuotare. Mi piace tantissimo fare il morto a galla e vedere soltanto il cielo. È una cosa che mi ricarica tanto. Il lavoro che faccio porta con sé così tanti sacrifici, ho sempre questa sensazione di dormire troppo poco, di non essere mai abbastanza riposato. Ancora non sono riuscito a riposare, lo dico anche nel pezzo 'anche oggi si dorme domani'.
Ti senti ancora Fuorigioco? O qualcosa è cambiato?
Ogni tanto sì. Delle volte capisci di aver realizzato delle cose ma ti senti come se non fosse valido. Il fuorigioco è una metafora per la sindrome dell’impostore. È come aver fatto gol ma non è valido.
“Il più delle volte mi sento un alieno” dici in Sei Cuori. Questo sentirsi diverso credi ti abbia dato anche un punto di vista privilegiato sulle cose, o è solo una condanna?
Entrambe le cose. Sentirsi diverso ti dà una prospettiva diversa. Io sono una persona molto analitica, viviseziono le parole, i concetti, cerco di capire le cose a fondo. Delle volte è una benedizione perché ti porta a comprendere molto, altre è una maledizione perché tendi a sentire troppo, a pensare troppo. Quel tempo investito in paranoie potresti dedicarlo a essere più presente, a goderti il momento. È un equilibrio che ancora non sono riuscito a rendere stabile ma non credo che cambierei questo con altro.
Non c’è qualcosa a cui senti di appartenere?
L’hip-hop, la Sicilia. L’hip-hop è un movimento, mi ha dato un linguaggio. È una forma d’arte da persone che non hanno il mio stesso privilegio, quello di avere la pelle bianca.
Un privilegio sociale che non ha senso, che non mi sono guadagnato ma ce l’ho, quindi, lo voglio utilizzare per dare voce a chi non ce l’ha.
Avere vissuto all’estero mi ha dato un punto di vista privilegiato e mi ha fatto dare più peso a certe cose che molti spesso danno per scontate.
Sento anche forte l’appartenenza alla Sicilia, a una storia, a delle tradizioni. Mi sento mega mediterraneo anche nel modo di parlare. Noi siamo abituati a farci sentire, ad alzare la voce, a parlare con una certa enfasi. Cuciniamo in un certo modo, esaltiamo i sapori, ci piacciono le spezie. Queste cose qui si mescolano.
Il fatto di analizzare tanto, di voler andare a fondo, delle volte, ti fa perdere il senso di ciò a cui appartieni e puoi essere un po’ tutto.
Nel disco ci sono molte collaborazioni interessanti e diverse tra loro: Daniele Silvestri, Serena Brancale, Ainé, Casadilego e Giò Sada. Come nascono e cosa ti hanno lasciato?
Tutte le collaborazioni sono prima di tutto amicizie.
Conosco Daniele da tanti anni e sono suo fan sin da piccolo. Ricordo che ero a Palermo poco dopo l’esperienza di X Factor [nel 2015 ndr.]. Lui suonava lì una sera e la mia ex mi consigliò di cercare di collaborare con lui.
Lo contattai tramite Nicolò Fabi, che è un amico. Mi disse 'Vai al soundcheck'. Daniele mi accolse con un sorriso dicendomi che aveva già pensato di scrivermi in passato perché gli piaceva quello che stavo facendo. Ero incredulo. Da lì è nata questa amicizia e collaborazione. Lui è la tipica persona umilissima, che ti fa sentire sempre molto accolto. È anche molto calmo, cosa che io ancora sto cercando di imparare.
Ci siamo trovati e abbiamo scritto tanti pezzi insieme, Bla bla bla dovrebbe essere il quinto. Avevo scritto il beat per un’altra persona che lo ha rifiutato. La mia ex mi fa “su questo beat dovresti scriverci tu”.
Le chiedo di cosa posso parlare e lei mi suggerisce qualcosa di non troppo pesante. Le rispondo che avrei voluto parlare di politica e lei mi fa: “Davide, sei sempre il solito bla bla bla”. Le ho chiesto di cantare questa cosa, abbiamo registrato, abbiamo scritto il ritornello. A un certo punto mi sono reso conto di aver fatto un pezzo alla Silvestri. Gliel’ho mandato e lui non mi ha risposto per tipo 12 ore. Ricompare e mi fa “ho scritto la prima strofa”. Poi lo abbiamo finito insieme.
Anche Casadilego è un’amica, le ho scritto dopo la sua partecipazione a X Factor per chiederle di produrre qualcosa insieme. Ci siamo conosciuti e abbiamo capito di essere fratello e sorella. Per scrivere il pezzo [Lacrime di Felicità ndr.], lei ha preso la chitarra in mano, ha fatto un giro di accordi e io subito le ho detto “È proprio questo”.
Sabato, il pezzo con Serena e Ainè, è un po’ più vecchio, lo abbiamo scritto in pandemia in una serata a casa di Serena. Ci eravamo messi a improvvisare ed è nato tutto spontaneamente.
Con Giò Sada, avevo scritto questo pezzo un po’ più rock, Sei Cuori, e non potevo non contattarlo, lui per me è la voce rock in Italia. Era da tanto tempo che volevamo fare qualcosa insieme.