Il caso di “One Second Ads” e delle royalty non pagate

Abbiamo già avuto modo di parlare di Cannes-Lions 2025 , il Festival della Creatività che si svolge a giugno nella località della Costa Azzurra e che ogni anno indica lo stato dell'arte della comunicazione pubblicitaria attraverso speech, masterclass e soprattutto i Grand Prix assegnati alle campagne più interessanti. In quest'ultima edizione tra le varie campagne premiate ha creato una lunga scia di polemiche, discussioni, ma anche utili riflessioni, quella che ha vinto il Grand Prix Audio e Radio. Dopo molti anni in cui a vincere erano state campagne per charity o di associazioni non-profit, quest'anno per la prima volta dopo tanti anni ad avere il premio è stata una campagna di uno dei grossi brand di largo consumo che ultimamente avevano snobbato la categoria audio-radio nella loro comunicazione. La campagna "One Second Ads" La campagna in questione è “One Second Ads” realizzata dall'agenzia Africa Creative DDB di San Paolo per Anheuser-Busch InBev e, in particolare per il brand Budweiser. L'idea di base è molto efficace: per entrare in contatto in modo più diretto e profondo con gli appassionati di musica in Brasile, Budweiser ha lanciato una serie di spot pubblicitari della durata di un solo secondo. Ogni spot presentava la prima nota immediatamente riconoscibile di una canzone di interpreti molto famosi, da Beyoncé ai Beatles, da Taylor Swift ai Foo Fighters, sfidando gli spettatori a identificare il brano. Il formato ultra-breve rendeva gli annunci non saltabili e invitava i fan a dimostrare la propria conoscenza musicale indovinando le canzoni nei commenti. Chi indovinava riceveva un messaggio diretto da Budweiser con un coupon per una birra. L'idea era buona, la musica rappresentava l'oggetto principale e la campagna era riuscita ad andare su TikTok generando ottimi numeri , tuttavia nel reel di presentazione della campagna si evidenziava il fatto che “nessun dollaro è stato speso in diritti musicali”. Il fatto che l'agenzia e il cliente si siano vantati di non pagare le royalty musicali ha indispettito molti tra gli addetti ai lavori, anche perchè le motivazioni della giuria che ha premiato la campagna, riguardavano anche la sua “efficienza”. Le critiche Il sito di riferimento del mondo dell'advertising e del marketing The Drum ha evidenziato questo particolare domandandosi perché Budweiser, vincitrice del Grand Prix, risulta avara quando si tratta di pagare gli artisti. Bisognerebbe essere assolutamente certi che la scappatoia del “secondo” sia assolutamente inattaccabile, soprattutto nei confronti dei detentori dei diritti musicali sempre più propensi a fare causa ai brand che utilizzano i loro brani in post sui social media senza licenze di sincronizzazione. Le critiche più aspre sono arrivate dai professionisti della musica e del mondo del licensing. Secondo Richard Kirstein di Resilient Music, agenzia londinese di consulenza musicale per brand, la "regola del secondo" è una leggenda metropolitana: infatti l'uso commerciale della musica richiede in genere una licenza completamente pagata, indipendentemente dalla lunghezza del campione. Il fatto poi che dietro a questa campagna ci sia un grossa corporation come Anheuser-Busch InBev rende le cose un po' più complicate, perché l'azienda stessa tende ad adottare un doppio standard: da una parte infatti difende strenuamente i propri marchi e mai tollererebbe la “regola del secondo” relativa all'uso del proprio logo o del sound brand di un suo marchio da parte di un'artista o di un qualsiasi tipo di utilizzatore, dall'altra si vanta di non pagare gli artisti oggetto della propria campagna pubblicitaria. Se poi legato a questo non c'è solo una adv sugli alcolici, ma anche un incoraggiamento al consumo in un Paese dove il tasso di uso precoce di alcool tra gli adolescenti è tra i più alti, la cosa diventa ancora più problematica e va ad intaccare la cosiddetta brand reputation, che in questo momento rappresenta un valore immateriale molto importante. Ma al di là di tutto questo, in un momento storico in cui non si vendono più dischi e i guadagni per gli artisti sono piuttosto bassi, una multinazionale che si vanta di non dare nemmeno un dollaro per l'utilizzo di alcune loro canzoni non è particolatmente benvoluta. Le royalty dovrebbero essere pagate quando sono dovute e non quando non lo sono – ma, in quest'ultimo caso, vantarsene non è proprio una bella cosa. Come è andata a finire Morale della favola, AB InBev si è scusata per la campagna vincitrice del Gran Premio di Cannes che si vantava di aver evitato di pagare i diritti musicali, tuttavia il messaggio che la campagna aveva trasmesso - ovvero che sfruttare la creatività è accettabile se promuove l'alcol e ottiene riconoscimenti – è stato recepito forte e chiaro. In generale dispiace che emerga questo sottotesto per cui non pagare la musica sia una cosa smart e furba, quando è proprio la capacità dell'autore di aver realizzato una canzone così di grande impatto da essere riconosciuta al primo secondo che dovrebbe essere ricompensata.

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