Fabri Fibra, l’outsider che ha rivoluzionato il rap italiano, secondo Michele Monina

Fabri Fibra irrompe sulla scena nei primi anni Duemila come un elemento esplosivo destinato a cambiare per sempre le regole del gioco. Con la furia iconoclasta del suo rap, porta nel mainstream una voce nuova, cruda e scomoda. Tradimento non è solo il titolo del suo album di svolta: è una dichiarazione d’intenti. Quel disco arriva primo in classifica e fa saltare ogni convenzione, trascinando il rap italiano fuori dall’underground e dentro le case di tutti. Fibra sdogana un immaginario fatto di parole taglienti, provocazioni estreme e verità sbattute in faccia senza filtri. In un panorama musicale abituato a ben altro, l’effetto è dirompente: improvvisamente il telegiornale parla di un rapper, i tribunali vengono chiamati in causa per i suoi testi, il dibattito pubblico s’interroga su chi sia questo artista che scandalizza e affascina. Ha fatto esplodere qualcosa di mai visto prima. "Fibra, con Mr. Simpatia prima e poi con Tradimento, ha scardinato l’idea di politicamente corretto in maniera molto violenta", osserva Michele Monina, critico musicale e profondo conoscitore del fenomeno Fibra che su di lui ha scritto due libri che ne raccontano l’impatto dirompente sulla scena italiana. Il primo, Io odio Fabri Fibra , è un saggio narrativo pubblicato subito dopo Tradimento, che analizza il linguaggio e la rottura culturale introdotta dal rapper marchigiano. Il secondo, Tutti vogliono un fenomeno , allarga lo sguardo al sistema-rap italiano, ma parte proprio da Fibra per raccontare come si costruisce un artista autentico e insieme vendibile. Due libri diversi, ma complementari, scritti con uno sguardo critico, da vero insider. Monina racconta come il giovane Fabri abbia usato un gergo violentissimo e immagini urticanti per tracciare un confine netto col passato: "Tradimento finì al telegiornale, in tribunale: un disco dirompente, nonostante fosse molto meno estremo di Mr. Simpatia" ricorda. In effetti, se il precedente album indipendente Mr. Simpatia era una scarica di rabbia grezza riservata a pochi iniziati, Tradimento porta quella stessa carica distruttiva al grande pubblico. Il rap in Italia non sarà più lo stesso dopo di lui: “dal 2006-2007 l’industria discografica ha metabolizzato il rap con Tradimento”, nota Monina, riconoscendo a Fibra il ruolo di detonatore culturale. Nel bene e nel male, Fabri Fibra rompe tabù e convenzioni, e paga anche un prezzo: viene etichettato come misogino, violento, borderline dai media scandalizzati. Ma è proprio attraverso questa tempesta che il rap ottiene cittadinanza nel pop italiano, perdendo l’innocenza e guadagnando una potenza comunicativa mai vista. L’outsider e il suo alter ego Nonostante il successo travolgente, Fabri Fibra rimane, per scelta e indole, ai margini del sistema. È un vincitore atipico: il classico outsider che conquista la vetta ma rifiuta le regole del gioco dello show business. Sfuggente e schivo, Fibra si tiene lontano dai riflettori e dalle comparsate mondane. Monina lo descrive senza mezzi termini: "Lui è veramente un asociale… Rifiuta il confronto, non accetta premi, non vuole visibilità". E prosegue: "Non lo si vede quasi mai alle feste VIP, alle cerimonie patinate o nei salotti televisivi; una distanza che è frutto di una precisa volontà, non di ostracismo altrui. La sua assenza dai circuiti mainstream diventa parte integrante del personaggio: alimenta il mito del ribelle solitario, uno che non si è mai “addomesticato” al sistema". Eppure, quando decide di esserci, la sua presenza pesa eccome. Anche le nuove generazioni lo percepiscono come un caposaldo: Fibra resta sempre credibile, tanto che persino in un recente show televisivo accanto a giovani emergenti è riuscito a imporsi con autorevolezza. Monina racconta di essere rimasto sorpreso nel vederlo duettare con artisti della nuova scena come Tredici Pietro – un comportamento inusuale per uno come lui – ma riconosce che "anche lì è credibile… è sempre credibile". In altre parole, la statura artistica e la storia personale di Fibra gli conferiscono un’aura di autenticità che travalica le generazioni: i ventenni lo rispettano come un veterano ancora capace di dire la sua, mentre i suoi coetanei lo considerano un riferimento assoluto. Dietro questa aura da lupo solitario c’è anche la consapevolezza di un alter ego ben costruito. Fabri Fibra è un personaggio, un’identità artistica distinta dal Fabio ragazzo di provincia. La capacità di indossare una maschera e raccontare il mondo con quella voce tagliente è stata la sua fortuna, ma anche la sua difesa. Monina sottolinea quanto oggi sia fondamentale, per gli artisti, comprendere il gioco degli alter ego: "Viviamo in un mondo dove tutti hanno un avatar, ma quasi nessuno lo sa. Fibra lo sa, ci ha costruito una carriera. Però dovrebbe esplicitarlo... Lui non si chiama Fabri Fibra, ma Fabio. Questo conta". In fondo, Fibra è il primo a sapere di essere un “avatar”, una versione potenziata e spietata di se stesso che vive nelle canzoni. Negli anni lo ha detto a modo suo – talvolta perfino in sede legale, per difendersi dalle accuse eccessive – ma non lo ha mai dichiarato apertamente al pubblico: un po’ per strategia, un po’ per vezzo, ha preferito lasciare ambigua la separazione tra uomo e personaggio. E così Fabri Fibra è diventato un outsider credibile anche in questo: ha creato un mito personale e ci si è identificato fino in fondo, mantenendo però sempre un margine di mistero su dove finisse la persona e dove iniziasse il personaggio. Monina, da par suo, insiste sull’importanza di non tradire mai quella radicalità che ha reso Fibra unico. Qualche passo verso il mainstream più conciliante – una partecipazione televisiva, un duetto pop – viene visto con sospetto: rischia di incrinare l’immagine dell’irriducibile. "Tu sei Fabri Fibra. Come Marracash. Ce ne sono due, non mille. Non ti svendere. Stai isolato" sembra quasi essere l’avvertimento appassionato che il critico lancia idealmente all’artista. E, in fondo, la stima di Monina per una coerenza rara: Fibra, come pochi altri, incarna l’archetipo del rapper che non scende a patti, che preferisce l’isolamento alla perdita di credibilità. Ed è forse anche grazie a questa coerenza ostinata che oggi, a 47 anni, il rapper di Senigallia continua a essere trasversale – rispettato dagli addetti ai lavori, amato dal pubblico storico e insieme capace di incuriosire chi magari di rap sa poco, ma riconosce l’autenticità quando la vede. Fratelli e conflitti: la faida con Nesli Se c’è un elemento che ha sempre accompagnato la narrazione di Fabri Fibra, è il conflitto. Nel mondo dell’hip hop, si sa, lo scontro verbale è spesso motore creativo e rito di passaggio: Fibra non si è mai tirato indietro, affrontando dissing feroci con colleghi e avversari. Tra tutte le battaglie combattute a colpi di rime, ce n’è una che ha lasciato un segno profondo nell’uomo oltre che nell’artista: quella con Nesli, suo fratello minore. I due iniziarono insieme il percorso musicale, per poi prendere strade divergenti non solo in stile ma soprattutto nei rapporti personali, fino a una rottura clamorosa consumata sui media e nei testi delle canzoni. "Il conflitto che gli ha fatto più male personalmente è stato quello con Nesli", afferma Monina senza esitazione. La faida fraterna non è stato un semplice litigio di ego nel rap, ma una ferita intima che Fibra ha trasformato in arte, con risultati tanto potenti quanto dolorosi. Nell’ultimo album questa ferita torna a sanguinare in maniera evidente. C’è un brano in particolare in cui Fabri parla di suo padre con una durezza sconvolgente, tirando fuori rancori mai sopiti. Monina ricostruisce un dettaglio emblematico: "La canzone sul padre, Mio padre, è devastante: sembrava la madre di Eminem che 'mi spegneva la sigaretta addosso'. Fibra l'ha pubblicata proprio il giorno prima della finale di MasterChef VIP, dove Nesli arrivava secondo con tutta la famiglia in studio. È stata una mossa violentissima". Una bomba se immaginiamo un Nesli in televisione a cercare una consacrazione diversa e Fibra a riaprire i loro drammi familiari. Ma non è solo strategia o provocazione gratuita. "Non sono convinto che l’abbia fatto solo perché doveva rispondere" spiega il critico. "Era una guerra vera, profonda. E quel dolore lo ha riversato nell’arte, una lapide più pesante di quella al cimitero di Senigallia, dove riposa il padre". Rime che sono colpi, ma anche prove di volo i di catarsi, forse. Radici marchigiane, spirito anarchico Da dove viene quella sfrontatezza, quella rabbia lucida con cui Fibra sputa fuori tutto ciò che pensa, a costo di risultare eccessivo? Per comprenderlo bisogna guardare alle sue radici. Fabri Fibra è figlio di Senigallia, provincia di Ancona, nelle Marche. Non parliamo di Milano o Roma, i tradizionali epicentri dell’industria musicale italiana, ma di una realtà di provincia che raramente aveva espresso figure di spicco nel pop nazionale – men che meno nel rap. Eppure, proprio da quella posizione defilata, Fibra ha tratto una forza particolare, quasi antagonista. Monina, marchigiano anche lui, ci tiene a evidenziarlo: "C’ha uno spirito anarchico tipico della mia terra", dice del rapper. "Le Marche sono una regione di confine, storicamente abituata a diffidare delle autorità centrali: terra di contadini operosi ma anche di fermenti ribelli – basti pensare alla Settimana Rossa del 1914, rivolta popolare anti-governativa, o a una radicata tradizione anticlericale contro il potere pontificio. Un contesto in cui regna una certa insofferenza verso le regole imposte e dove l’arte di arrangiarsi conta più degli aiuti dall’alto". Monina ricorda che i marchigiani hanno il motto implicito del “non fare il passo più lungo della gamba”, tanta è la concretezza inculcata dalla cultura contadina locale. Eppure, quando qualcuno di quella terra riesce a emergere, lo fa con un fuoco speciale dentro: è il fuoco di chi si è dovuto fare da solo, senza riflettori puntati addosso. Fabri Fibra incarna alla perfezione tutto ciò. "Fibra questa cosa l’ha rappresentata. È stato l’unico, perché dalle Marche non è venuto nessun altro", sostiene Monina parlando dell’attitudine ribelle marchigiana. Un outsider anche geograficamente, dunque, che si è portato dietro l’orgoglio e la rabbia di una terra periferica. La sua irriverenza quasi anarchica – quel dire e fare cose che altri non oserebbero – affonda le radici proprio lì. Emblematico un aneddoto che Monina racconta: sul set di un videoclip, appena conosciuta una celebrità come Ambra Angiolini, Fibra esordì dicendole bruscamente "meno male che non c’hai le tette, sennò sarei stato in difficoltà a parlare con te", quasi a voler sfidare ogni convenzione di educazione e galateo. E Monina riconosce in quel gesto l’essenza genuina di Fibra: uno spirito libero, incurante delle conseguenze, figlio di una provincia che non si è mai fatta addomesticare, l’outsider anche perché viene da fuori, da un luogo lontano dal “centro dell’impero”, e quel luogo se lo porta dentro in ogni rima tagliente e in ogni scelta controcorrente. Maturità e catarsi in Mentre Los Angeles Brucia Oggi Fabri Fibra è un veterano del rap, un padrino riconosciuto di una scena che lui stesso ha contribuito a plasmare. Ma lungi dallo spegnersi, il suo fuoco creativo arde in modi nuovi. Il 2025 lo ha visto tornare sulle scene con un progetto importante: Mentre Los Angeles Brucia, un album che segna probabilmente l’apice della sua maturità artistica. Se negli anni giovanili Fibra scioccava l’Italia con la provocazione e l’invettiva, in questo lavoro recente la rabbia si mescola a una sorprendente vena introspettiva. Non che manchino i colpi al vetriolo, ma a emergere sono soprattutto i demoni interiori dell’uomo Fibra: i traumi familiari, le paure, le scelte esistenziali fatte e quelle mancate. Monina individua nel disco una trilogia intima e viscerale di brani in cui il rapper si mette a nudo come mai prima: una canzone dedicata al padre scomparso, una rivolta idealmente a un figlio che Fabio ha scelto di non avere, e un’altra che guarda al futuro con la fragile speranza di chi ha attraversato il fuoco. Queste tre tracce sono il cuore pulsante dell’album, un cuore nero ma vivo, fatto di dolore sublimato in musica. "Non è una questione di scelte a tavolino – è sfogo puro", commenta Monina. "Qui Fibra butta fuori tutto, senza cercare giustificazioni o attenuanti". Il risultato è un’opera potente, scomoda, che disturba e commuove allo stesso tempo. Monina confessa di esserne rimasto così colpito da rimanere in silenzio di fronte ad essa: "Ti dico la verità: sono stato talmente colpito da quel disco che non ho scritto una riga. …Preferisco l’arte che disturba a quella che rassicura. Preferisco chi sublima il male a chi propone il bene". In effetti per certi versi l’album suona quasi come un punto d’arrivo, la conclusione di un lungo viaggio attraverso l’oscurità personale di Fabri Fibra. "Mi sembra quasi la chiusura di un ciclo, che al momento non ne prevede un altro… come se Fibra dicesse: 'Ho fatto il giro e sono tornato al punto di partenza, ma ora ho messo ogni tassello al suo posto'", riflette Monina. Un momento di passaggio, forse no – il tempo lo dirà. Intanto, come osserva Monina, il Fibra odierno conserva la schiettezza brutale di sempre, ma sa calibrare le parole con la consapevolezza di chi ha visto l’evolversi della sensibilità collettiva. L’artista provocatore è diventato adulto, imparando a dialogare in modo nuovo con il contesto culturale. L’epica di un outsider credibile e trasversale Viene da chiedersi, alla luce di questo percorso, quale sia il lascito di Fabri Fibra e come lo si debba guardare oggi. La sua storia artistica somiglia a un’epopea moderna: il ragazzo di provincia che conquista la metropoli a suon di rime affilate, abbatte muri e si prende ovazioni ma rifiuta le corone facili, preferendo restare nell’ombra creativa; l’uomo che trasforma i propri conflitti in canzoni generazionali, che scandalizza e ispira, che cade e si rialza sempre a modo suo. Fabri Fibra è stato un detonatore culturale – su questo non ci sono dubbi – perché ha aperto la strada a tutto il rap italiano venuto dopo di lui, facendo capire all’industria e al pubblico che si poteva andare oltre il pop melodico e raccontare l’Italia con linguaggio urbano, sporco, diretto. Ma Fabri Fibra è, al contempo, colui che continua a incarnare l’idea stessa di outsider nel nostro panorama musicale: un solitario di successo, un ribelle riconosciuto, una voce fuori dal coro che però tutti ascoltano. La sua forza sta nell’essere credibile e trasversale allo stesso tempo. Pochi artisti riescono in questo equilibrio: mantenere credibilità agli occhi dei puristi e insieme parlare a un pubblico più ampio, varcare decenni restando rilevanti per chi c’era dall’inizio e per chi è arrivato dopo. Se il rap italiano è diventato adulto, gran parte del merito lo porta sulle spalle proprio Fibra. E lui, da vero outsider, continua per la sua strada: ostinato, anarchico, geniale, a volte contraddittorio ma sempre fedele a sé stesso. Quasi vent’anni dopo Tradimento, il fuoco di Fabri Fibra brucia ancora – e brucia bene. In un mondo di stelle fugaci e mode passeggere, la sua fiamma resta accesa, segno che quella scintilla iniziale non era un caso ma l’inizio di un incendio destinato a lasciare il segno, controcorrente e senza chiedere il permesso a nessuno.

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