“È difficile per me salire sul palco”, Saint Levant per la prima volta in Italia

Musica
Federica De Lillis

Federica De Lillis

Il cantante algerino-palestinese si è esibito a Milano il 30 ottobre, unica data italiana del tour europeo dell’album Deira. Dal palco parla della sua “sindrome del sopravvissuto” e poi sorprende i fan con un inedito. Tra gergo esplicito e messaggi politici, il “lover boy levant” conquista un pubblico eterogeneo di ragazzi e ragazze della Gen Z che lo accolgono sventolando le kefiah

“È passato almeno un mese [dall’inizio del tour] e tutte le sere salgo sul palco e ho un po’ di problemi. È difficile per me fare quello che faccio mentre i miei fratelli e sorelle stanno morendo in Palestina in un genocidio. Mi riempie di così tanto dolore perché io sono qui a provare a diffondere un messaggio, condividere la mia cultura, le mie bellissime tradizioni, la nostra musica araba mentre le nostre sorelle e i nostri fratelli vengono massacrati. Qualche volta sembra distopico arrivare qui e festeggiare con voi, non ve lo nego”. Saint Levant, nome d’arte del ventiquattrenne Marwan Abdelhamid, dal palco dell’Alcatraz di Milano, impone una pausa alle danze e agli zagharid, acuti trilli vocali simbolo di festa, nella sua prima e unica data italiana. Una cesura tra le tracce sensuali, a tratti erotiche, che mescolano R&B, soul, hip hop e influenze di musica elettronica, e le note dolci e malinconiche dedicate alla sua Palestina. Poi annuncia un inedito. “Si chiama Wazira": batteria, chitarra e basso accompagnano le barre in arabo tra rap e melodie mediorientali, in continuità con tracce come Allah Yihmeeki o Comme C’est Beau, dell’album Deira pubblicato nel 2024.

Il messaggio politico di una generazione 

Si muove sicuro Saint Levant, danza allegro insieme ai suoi fan, ma al centro torna sempre il messaggio politico: sui guanti neri che lo hanno accompagnato per tutto il tour si intravede una data: 2048, un richiamo alla sua 2048 Foundation che sostiene gli artisti palestinesi. 

Sotto il palco c’è la sua generazione, con la voglia di abbandonarsi al ritmo dei bassi, che si lascia rapire dal gergo esplicito di tracce come FaceTime (“Baby, questo è molto meglio di una videochiamata. Nove ore di differenza, ma sei ancora mia”); si riconoscono nell'impertinenza di Nails, in cui Saint Levant racconta di chi lo prendeva in giro da bambino per il suo essere diverso, dell’odio sui social, e ora? “Sono nella posizione in cui gente più vecchia di me mi vede come un leader”. 

Ma sono anche i ragazzi e le ragazze frammentati in tanti pezzi quante sono le identità del loro idolo, serbo-palestinese e franco-algerino, tra la volontà di realizzare i propri sogni e il peso della storia che minaccia di demolirli. Non importa la provenienza, quasi tutti indossano la kefiah, copricapo a quadri simbolo di resistenza ma anche libertà: annodata al petto, sulle spalle, la sventolano insistenti sulle note di Daloula che riprende motivi e musiche della tradizione araba. Qualcuno porta con sé la Palestina in una bandiera, in una fetta di anguria disegnata sul petto o indossata come gioiello. Le pareti tremano quando si alza un coro: “Free, free Palestine”. 

Fan sventolano kefiah
Milano, fan sventolano kefiah al concerto di Saint Levant

Il gergo esplicito del “lover boy” trilingue conquista la Gen Z 

Il 30 ottobre è stata la prima e unica data italiana del primo tour che ha portato sui palchi europei Deira, l’ultimo album pubblicato a giugno 2024, dopo l’EP Here and There e l’album From Gaza with Love. I biglietti sold out in pochi minuti, il debutto italiano sembra aver stupito lo stesso cantante, la cui espressione tradisce una certa emozione davanti a un Alcatraz così pieno che quasi si fatica a respirare. Salutato con una rivisitazione delle note di Loredana Bertè: “Sei bellissimo”, il cantante è spaesato e si gira verso il bassista che per lui traduce. Imbarazzato, ringrazia, ma la vulnerabilità di Adbelahim lascia subito spazio al Saint Levant di A Very Few Friends: “Voglio farti dimenticare del tuo ex, voglio che tu rimanda a pensare a ogni messaggio, voglio che i vicini ti sentano urlare”. 

Che siano barre in francese, in inglese o in arabo non importa, tutti riescono a cantare almeno una parte del singolo che ha avviato la carriera del cantante. 

“Non per vantarmi, ma è un tabù parlare di sesso nel mondo arabo. Ci sono canzoni d’amore, ma niente di esplicito, nessun riferimento al sesso" aveva dichiarato in un’intervista al New York Times. La sua musica abbraccia la cultura tradizionale e ne sfida i limiti, parla in modo diretto alla Gen Z che lo ha incontrato per la prima volta su Tik Tok nel 2022, quando ha pubblicato la clip di A Very Few Friends: con look carismatico e stile rilassato, rappa in modo schietto e seducente. È stato un successo immediato da 15,9 milioni di visualizzazioni. La sua figura di “lover boy” trilingue, l’uso di riferimenti culturali insieme alla capacità di comunicare i disagi di una generazione, tra isolamento emotivo, perdita e ricerca di una identità, hanno attirato un pubblico vasto che è andato ben oltre la fanbase di origine mediorientale. 

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La canzone che tutti aspettavano 

Non è rimasto molto tempo, Saint Levant si sporge per accettare una kefiah dal pubblico. Ecco la canzone che tutti aspettavano, quella che ha dato il nome all’ultimo album e che il cantante ha realizzato con il rapper quindicenne MC Abdul. “Sogni grandi, notti pesanti. Prego di arrivare almeno ai 16 anni”, dice una strofa che condensa tutta la tragedia contemporanea del popolo palestinese. Quella che tutti stanno cantando è la musica tradizionale di Gaza, il nome del singolo è lo stesso dell’hotel che il padre di Saint Levant, Rashid, architetto, fece costruire nella città palestinese nel 2000. Oggi non esiste più, distrutto dai bombardamenti del conflitto con Israele. Ma Saint Levant lancia un messaggio di speranza: “La mia mamma mi dice sempre una cosa e chiedo anche a voi di tenerlo a mente: ogni volta che sentiamo la sindrome del sopravvissuto, ricordate che non importa quanto tenteranno di eliminarci dalla mappa, di portarci via la nostra identità, la nostra cultura, il nostro cibo, noi siamo ancora qui oggi e non andiamo da nessuna parte”. Gli ululati degli zagharid ricominciano, una ragazza lo guarda con gli occhi lucidi. 

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