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Dalîlah, la sindrome da brutto anatroccolo si vince con Spike Lee: il video

Musica

Un brano dal tono melanconico e allo stesso tempo sognante, che racconta di come a volte ci si sente piccoli, inadeguati, fuori luogo

IL VIDEO E' INTRODOTTO DA UN TESTO ORIGINALE DELL'ARTISTA

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“Dalîlah scrive ciò che sente e scrive ciò che è”: voglio iniziare così a raccontarmi, sono una cantautrice versatile, nata ad Arzachena (Costa Smeralda) e cresciuta in giro per il mondo alla ricerca di me stessa. Ho vissuto in Irlanda e in Australia: queste due esperienze all'estero mi hanno aiutata a iniziare a lavorare ai miei primi testi e ho capito l’esigenza di dover parlare attraverso la musica. Spike Lee è un brano pop-reggaeton elegante, dal tono malinconico e allo stesso tempo sognante, che racconta di come ci si sente piccoli, inadeguati, fuori luogo, tanto che le paranoie diventano film come quelli di Spike Lee. Ho scritto questa canzone perché penso che questa sia stata una sorta di terapia per prendere coscienza di questo mio lato e per superare i miei limiti. Ho vissuto la sindrome del brutto anatroccolo sin da piccola, ero la bambina un po' particolare con un carattere introverso e troppo, troppo sensibile. Ora so chi sono, come sono e sono fiera della persona che sono diventata, anche grazie a quello che sono stata.

Quando ho iniziato a scrivere il testo, due anni fa, ero in casa a Milano ed era quel periodo dell’anno in cui è sempre nuvolo e nebbioso, piove e io passo ore a scrivere canzoni. Mi sentivo ispirata perciò ho provato a fare un freestyle su un type beat preso da YouTube; mi sono sentita subito a mio agio con queste sonorità, quindi ho scritto il testo fino al primo ritornello e la conservo lì, nella cartella delle canzoni non finite.  Lo scorso anno mi è ricapitato di riascoltarla e ho avuto come una roba allo stomaco che mi ha riportata alle sensazioni che avevo in quel periodo della mia vita e il momento in cui l’avevo scritta, così, l'ho ripresa e l'ho finita di scrivere.

Nel videoclip ho voluto dare risalto a tre elementi chiave che mi rappresentano: il mare, simbolo di richiamo, perché ovunque, nei miei viaggi, ho riscontrato la sua mancanza quando non c'è, la terra e il vento, simbolo della mia terra, la Sardegna, con una forza energetica immensa, ed infine il buio, un amico/nemico di ognuno di noi. Ho scelto il buio perché ci insegna a sopravvivere, a come far uscire una parte di noi che non conoscevamo prima, il buio salva ognuno di noi se hai il coraggio di accoglierlo. È grazie ad esso che si trova la propria luce e il proprio io. Le scene sono state girate tra Rena Majore, Santa Teresa di Gallura e Arzachena con l'aiuto del regista Matteo Varchetta, di Pier Paolo Pileri e la coreografia è stata ideata da Giulia Ferraris, con la partecipazione delle ballerine Camilla Rugò e Isabel Ardovino. È stato bello coinvolgere persone della mia terra, lavorare con loro, qui è sempre tutto un po' più complicato quindi supportare gli artisti locali e collaborare con loro mi fa piacere.

Attraverso questa mia nuova uscita ricongiungo una parte di me alla luce del sole, un lato consapevole, sicuro e connesso con il mondo e la terra che mi circonda. Sono Dalîlah e spero che la mia musica possa salvarvi in qualche modo come lei ha fatto con me.