Fracture/Zero, il singolo Red Echoes: "Siamo alieni, rendiamo possibile l'impossibile"

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

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Col loro primo brano hanno vinto in Place To Be Music Contest. Novità sono attese dopo l'estate e per il 2025 arriverà l'Ep. L'INTERVISTA

Fracture/Zero significa fare qualcosa che in molti ritengono impossibile, ma che in realtà restituisce un potenziale illimitato a chi sa coglierlo. La band vincitrice del contest musicale Place To Be, svoltosi a San Martino in Rio in provincia di Modena, nasce nel 2022 nell'afa dell'estate parmense  e oggi ha trovato il suo equlibrio in una formazione composta da Marco Bonzanini (voce), Alessandro Ceci (chitarra), Filippo Caricati (chitarra), Samuele Perria (basso) e Italo Gradisca (batteria). La loro musica è un mix di Metalcore, Nu Metal, Djent e Progressive: dove tanti gruppi si sono persi, i Fracture/Zero hanno trovato la strada per rendere possibile l'impossibile.

Partiamo dal Place To Be Music Contest: secondo voi quali sono gli elementi che vi hanno fatto conquistare giuria e pubblico?
In primis mettiamo molta cura in tutto quello che riguarda la struttura della canzoni, niente è lasciato al caso, tutto coerente dall’inizio alla fine ma ogni volta osando un po’ di più, uscendo dalla zona di confort musicale. Ci piace inserire chicche a livello di composizione chee possono essere interessanti e rendono i pezzi più frizzantini: ad esempio tutto Red Echoes è in quattro quarti ma nel ritornello va in trequarti con cambio di tempo. Cerchiamo di puntare all’unicità.

Nel post su instagram per festeggiare la vittoria al Place To Be avete scritto che il metal e i sottogeneri sono snobbati nei festival non di settore: perché questa opinione?
È insita in noi dai tempi delle superiori, quando ci siamo appassionati al genere. Perché è meno presente e più raro, perché viene categorizzato. Noi spesso ci domandiamo quanto la gente si sofferma sui nostri testi.

Perché Fracture Zero?
È stata un po’ travagliata come scelta del nome, ne abbiamo cambiati diversi fin dall’inizio, come ha avuto adattamenti la formazione; alcuni si rifacevano al metal old school altri c’entravano poco con quello che facevamo. Abbiamo consultato anche Chatgpt per avere una selezione e ci è poi rimasta impressa la parola fracture, quindi fracture zero, diviso zero. Sul calcolatore il risultato da nulla se dividi per zero ma in realtà sarebbe infinito.

Oltre al significato “matematico”, fracture significa rompere: la parola racchiude il concetto frattura del sistema? Che sia musicale o sociale.
Abbiamo più pensato al rendere reale qualcosa di impossibile, a scambiare l’energia.

Red Echoes è il vostro primo singolo: in cosa è il biglietto da visita del vostro viaggio artistico?
A fine 2024 inizieremo a rilasciare qualche contenuto in più, l’Ep arriverà nel 2025. Questa è la base da cui siamo partiti, questo ha definito quello cui tendevamo, partiamo da un elemento grezzo iniziale anche come approccio. Ci sarà una evoluzione, arriverà musica di respiro internazionale ma pure più invitante da ballare. Gli ultimi brani che stiamo lavorando possono risultare molto diversi da Red Echoes ma resta un filone che li lega. Facciamo sperimentazione ma a volte abbiamo lavorato a sentimento.

Nascete nel 2022 anche se ognuno di voi ha una sua storia artistica precedente: perché avete atteso due anni per il primo singolo? Per altro l’attività live è stata intensa.
Nell’Agosto del 2022 è nato il progetto ma fino a luglio 2023 non c’è stata una formazione completa. Da febbraio 2023 è partita la vera produzione, come formazione completa siamo insieme da un anno. Il producer è Jarno Bellasio, un esperto in questo campo, e ci serviva per gestire il nostro genere. Puntiamo a finire tutto il lavoro per l’autunno. Le canzoni devono maturare: per un po’ non le ascoltiamo poi le riprendiamo e ci ragioniamo.

Oggi sempre più artisti italiani, e di vario genere, e cito per tutti Marta del Grandi ed Any Others, scelgono l’inglese per raccontarsi: perché questa svolta anglofona?
Così si raggiunge un più vasto pubblico. È anche vero che risulta più credibile in inglese il nostro genere. Viene più spontaneo scrivere in inglese, fare le rime e anche urlarle. Nella nostra accezione l’inglese sembra quasi una lingua aliena: fa quasi sorridere fare in italiano il nostro genere, ci pensiamo per un futuro molto lontano ma dopo una ricerca specifica di termine ed espressioni.

L’Ep che arriverà sarà tutto in inglese?
Assolutamente.

"I miei amici non riescono a vedermi chiaramente" è un vostro verso tradotto e ha una doppia chiave di lettura: da una parte la vostra unicità, dall’altra una manifestazione di disagio generazionale: vi riconoscere in entrambe?
Ci riconosciamo nel disagio, quando ascoltavamo eravamo quelli diversi rispetto ai coetanei, quasi degli alieni. È giusto è bello trovare un po’ se stessi nei testi delle canzoni.

La sensazione strana che fa respirare paura qual è?
Il senso di non avere il controllo sia fisico, inteso come un panico scatenato proprio da una paura, ma anche nella società odierna, dove tutto è vissuto di corsa e si teme di perdere il ritmo. Sono volute le interpretazioni aperte nei nostri testi.

Come sono gli occhi visti attraverso il cielo? Sono più puri oppure sono velati e resi inquieti dalle nuvole?
È un concetto ambivalente, sono due oggetti che vivono uno nell’altro. Non lo definiremmo utopico ma esoterico, di difficile interpretazione. Gli occhi sono una finestra per vedere qualcosa di più grande, è limitante fermarsi allo sguardo.

Aspettando l’Ep, che accadrà nelle prossime settimane?
Siamo in modalità full per i nuovi brani, come strutturarli e limarli, stiamo registrando e rimpolpando le idee che avevamo messo nei demo. Inoltre ci stiamo attivando con altre band sparse per l’Italia per rafforzare il nostro genere. 

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