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Il ritorno dei Travis, Fran Healy: "L.A. Times album personale, con noi anche due amici"

Musica
Valentina Clemente

Valentina Clemente

Foto di Steve Guillick

Un nuovo album, "L.A. Times", il decimo della loro carriera, il più personale della band da "The Man Who", che li ha fatti conoscere al grande pubblico 25 anni fa e certificato nove volte platino solo nel Regno Unito. Un nuovo tour, al via il 5 dicembre, che li porterà per dodici date nel Regno Unito e in Scozia. E la collaborazione con Chris Martin e Brandon Flowers, amici da sempre, nel brano "Raze The Bar": bentornati Travis! Ne abbiamo parlato con Fran Healy, il leader del gruppo, ecco la nostra intervista

Se c’è una città che mi lega alla musica dei Travis, quella città è proprio Los Angeles. E quando ho letto il comunicato stampa in cui la band annunciava il ritorno con un album dal titolo L.A. Times mi sono subito detta: il destino mi sta sussurrando qualcosa, devo assolutamente incontrare Fran Healy, il leader della band, e parlare di questo disco. Quando frequentavo l’università a Los Angeles, nei primi anni duemila, ascoltavo alcuni cd che degli amici mi avevano preparato, per sentire meno la nostalgia di casa. E in questi minidischi (che non stavano nemmeno in tasca, tanto erano grandi) avevano messo canzoni che ascoltavo a ripetizione, come Mr. Brightside dei Killers, Have a Nice Day degli Stereophonics e Sing, dei Travis. Sono brani che poi ho inserito nel mio primo I-Pod, e che ascolto ancora oggi. Lo dico anche a Fran appena si collega, mentre chiacchieriamo del loro ritorno. E subito capiamo come il destino, a volte, giochi degli scherzi belli. Io, in quel periodo, non amavo quella città così grande e dispersiva, a nove ore di fuso dall’Italia. Ora, però, la sento come casa, ed è forse il motivo che mi fa tornare almeno quattro volte l’anno, proprio per respirare quell’aria che solo L.A. mi regala.

 

Come è nato l'album "L.A. Times"

Fran, ho letto che hai vissuto alcuni anni in una delle mie città preferite. Come ti sei trovato ma soprattutto: che periodo stiamo attraversando, e non solo a Los Angeles?

L.A sta cambiando molto: tutto quello di cui si legge sui giornali, o si ascolta al telegiornale, dal problema dei senzatetto al riscaldamento globale, il crimine, il movimento MeToo e Black Lives Matter, tutto è concentrato a Los Angeles. Abbiamo registrato The Invisible Band 23 anni fa proprio a L.A, che era una città completamente diversa rispetto ad oggi. Non c’erano così tanti senzatetto, non c’era Netflix: era tutto così differente! Mi sono spesso confrontato con degli amici per capire cos’ha questa città che la rende la realtà che è oggi, e che è diventata: dovrebbe essere la realtà più multiculturale del pianeta, perché tutti hanno uno spazio. A differenza di New York e Londra, però, non c’è un sistema di trasporto pubblico. Tutti vivono nei loro quartieri, non sembra ci sia la volontà di conoscere l’altro, e forse anche c’è mancanza di tolleranza, che si crea proprio quando c’è un confronto. Io non mi sono trovato molto bene a Los Angeles, sono sincero: ne parlo proprio nel brano L.A. Times, che conclude il disco. È una canzone che parla proprio della città, dove sono stato aggredito, hanno provato a rubarmi la macchina e un cane mi ha morso (ho anche una cicatrice sulla mano!) Non ho mai avuto così tanti problemi in una città, e ho voluto raccontare tutto in un brano. Dovevo farlo per me. Non mi sono messo a pensare alle parole: sono arrivate da sole. Il resto dell’album però, è più emozionale: racconto gli ultimi quattro anni della mia vita, un periodo in cui mi sono separato, uno dei miei migliori amici è mancato, mio figlio è stato bullizzato a scuola da un insegnante. È stata una fase piuttosto complicata, ma la bella notizia è che tutto, alla fine, ha avuto un epilogo positivo. L’album è un’istantanea di tutto quello che è successo.

La musica come cura

Non ho figli, ma ho molte amiche mamme che mi raccontano cosa accade ai loro figli. E da quello che ho compreso, la musica per te è stata una forma di cura e guarigione.

Certo, la musica in tutte le sue forme è una cura, è qualcosa di catartico…Sai, qualche sera fa abbiamo aperto un concerto dei Killers, quindi il pubblico era loro ma noi siamo un’ottima band, perfetta per scaldare la gente prima dell’arrivo degli headliner. Non c’è niente da fare: la musica proprio va nel profondo e cambia le persone, fa vivere momenti indimenticabili…è più forte di noi ed è qualcosa di bellissimo!

Il significato del brano "Gaslight"

Quando ho letto i titoli delle canzoni, sono stata particolarmente colpita da una: Gaslight, una parola molto usata da Donald Trump negli ultimi otto anni. Poi ho ascoltato la canzone, la descrizione perfetta di quello che sta accadendo non solo negli Stati Uniti, ma nel mondo. In questo brano prendete una posizione, e non è sempre facile per gli artisti parlarne apertamente…

A dir la verità non è una canzone politica, ma sono perfettamente d’accordo con quello che dici: viviamo in un periodo piuttosto complicato. E per gli artisti, oggi, parlare pubblicamente di politica è molto difficile. Gaslight è una canzone molto personale: ne ho scritte solo tre, quattro per alcune persone, che sanno di essere le protagoniste. Gaslighting (manipolazione) è un modo per controllare le persone, un meccanismo di sopravvivenza, ma è qualcosa che abbiamo sempre fatto e che, improvvisamente, ha un’etichetta, un nome. Fino a quando non hai un riferimento specifico, è come se quella cosa non esistesse. Poi però si trova un sostantivo, e tutti capiscono che è sempre stato fatto. Il mio brano dà un po’ di emancipazione, nel senso che mi ha permesso di parlare di un tema e di liberarmi anche di alcune persone che hanno fatto parte della mia vita e che non mi hanno fatto del bene. La vita è così breve, e dobbiamo stare bene. E questo vuol dire anche tagliare alcuni rapporti malsani.

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La collaborazione con Chris Martin dei Coldplay e Brandon Flowers dei Killers

Raccontami di come è stato lavorare con Chris, Chris Martin!

Io e Chris ci conosciamo da una vita. I nostri figli sono cresciuti insieme, eravamo vicini di casa a Londra. Poi ci siamo persi di vista per alcuni anni: io mi sono trasferito a Berlino, lui e la famiglia a Los Angeles, e non abbiamo avuto contatti per un po’ di tempo. Poi un giorno a Los Angeles, c’erano delle attività a cui mio figlio doveva partecipare: stavo parcheggiando la macchina e l’ho visto, e ho urlato “Ooooo!” Lui si è girato e subito mi ha detto: Fran, ma che cavolo ci fa qui! Era con la moglie, che non avevo mai conosciuto, ed è stata carinissima…ci siamo abbracciati, e abbiamo ripreso i contatti. Mentre scrivevo questo album, avevo un po’ perso la direzione, non riuscivo più a vederci chiaro. Non capivo quale ordine dare alle canzoni. Non ce la facevo più. Allora ho chiamato Chris e gli ho detto: Senti, ti va di venire da me, farti un pezzo di PCH (Pacific Cost Highway) e aiutarmi un po’ con questo nuovo album? Lui è arrivato subito. Mentre ascoltava il brano Raize The Bar, chiedendomi di fermarmi e riascoltarlo, mi guarda e dice: Ma questa è una delle canzoni più belle che tu abbia mai fatto! Sai, mi piaceva questo brano, ma quando te lo dice una persona che stimi è un’altra cosa. Io stavo quasi iniziando ad odiare questo disco, proprio perché non capivo come trovare un ordine. Poi Chris si è messo al pianoforte e ha iniziato a suonare il brano, e pochi giorni dopo l’ho chiamato per chiedergli se volesse cantarlo. Poi mi dice: “Sai, c’è un brano di Donna Summer in cui si sentono tanti suoi amici cantanti, non vengono citati ma ci sono. Perché non fai qualcosa di simile?” Io ci ho pensato e l’unico altro cantante che conosco è Brandon Flowers dei Killers, che ho chiamato subito e mi ha detto di sì! The Killers sono dei ragazzi incredibili! Brandon e Chris sono quindi in questo brano, che parla di amicizia.

"Siamo sempre gli stessi Travis degli inizi"

Quando vivevo a L.A, mentre andavo a lezione, ascoltavo spesso Sing. E sentire le canzoni del nuovo album mi ha rifatto rivivere gli stessi Travis…

Sì, è proprio così! Siamo una band di quattro persone, siamo rimasti insieme dopo così tanti anni. Siamo orgogliosi dell’essere riusciti a rimanere gli stessi, e quando ci vedete dal vivo, tutto si incastra alla perfezione. Abbiamo suonato a Dublino con i Killers alcune sere fa e tante persone ci hanno detto: “Non vi abbiamo mai visti dal vivo, siete incredibili!” Ho capito cosa volevano dirci…quando ci vedono e sentono suonare, se i Killers fanno volare, noi siamo come dei sottomarini: siamo quasi silenziosi, ma potenti. 

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