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Tormento racconta l'Ep Petali e Spine: "Abbiamo bisogno di amore"

Musica

Gabriele Lippi

Il rapper, membro fondatore dei Sottotono, torna con un progetto di quattro brani dedicati al più nobile tra i sentimenti frutto di una collaborazione con Frank Sativa (beat) e Bagba (coautore dei testi). L'intervista

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Amor omnia vincit, l’amore vince su tutto. E l’amore è al centro del nuovo progetto discografico di Tormento, alias Massimiliano Cellamaro, colosso dell’hip hop italiano che ormai da trent’anni cavalca i generi conservando una identità ben definita e precisa. Petali e spine, si chiama l’Ep di quattro tracce uscito da qualche settimana. Quattro brani che parlano d’amore, perché di amore, oggi, ci è un disperato bisogno, come ci ha spiegato in questa intervista.

L’amore è bello, colorato e profuma. Ma a volte può fare anche male. Come una rosa, che ha i suoi petali e le sue spine. Da dove nasce il titolo del progetto?
Nasce proprio da questo contrasto. Tutto l’Ep è dedicato all’amore perché stiamo vivendo dei tempi di guerra. E alla fine è da questo che nasce l’hip hop, dall’idea di partire da un quartiere disagiato dove le gang si fanno la guerra e invece di sfidarsi con le armi ballano e si confrontano con le rime. Sembra assurdo ma ha funzionato e si è espanso in tutto il mondo. Le sonorità di queste quattro tracce sono più soul, funk, anche pop, se vogliamo, ma l’idea è quella di parlare di amore in ogni modo possibile, perché anche la rabbia è amore represso.

Parlami della collaborazione con Frank Sativa. Vi conoscete e lavorate insieme da tempo, ma è la prima volta che curate insieme un progetto in studio.
Sì, abbiamo sempre fatto qualche traccia sparsa, anche con Esa. Condividiamo un amore che ci ha sempre spinto verso questa corrente di funk mediterraneo che parte da Pino Daniele, ma anche Battisti era molto black, Lucio Dalla usava strumenti che appartengono al soul, ora ci sono i Nu Genea. Ci piaceva dare un altro volto al pop italiano, pescando dalle nostre radici, le mie magari molto più black, ma con un linguaggio vicino a quello che l’Italia conosce bene. Fare del pop fatto bene.

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Per i testi, invece, hai collaborato con Bagba. Come è per te condividere la parte di scrittura?
Secondo me è bello che un artista si sfoghi e scriva tutte le sue cose. Io ho fatto 14 album da solo e mi sono sfogato abbastanza. Ora sono in questa nuova dimensione in cui trovo molto più stimolante scrivere con altri. Ora più persone ci sono in studio più l’energia inizia a moltiplicarsi e le canzoni sono il frutto dell’unione di queste energie. È bello mettere un po’ da parte l’ego, il voler fare tutto da soli, e fare un bel progetto di collaborazioni.

 

L’Ep già di per sé è una scelta curiosa. Mi spiego meglio: viviamo un’epoca di consumo rapido della musica, dove i singoli dominano e gli album, di fatto escono dopo due anni quasi esclusivamente allo scopo di raccogliere quei singoli già pubblicati. Un Ep, quattro tracce, che escono insieme, come si faceva una volta per presentarsi al pubblico, da un artista con 30 anni di carriera alle spalle che certo non ha bisogno di presentazioni. Come mai?
Proprio per trovare questa via di mezzo tra la morte degli album di cui hai parlato tu e questa voglia di singoli. Avevamo più pezzi ma ci siamo resi conto della scarsa attenzione di cui godono gli album oggi, allo stesso tempo non volevamo un progetto hit oriented, volevamo aggiungere altri lati per dare un quadro completo di ciò che volevamo comunicare.

 

Dobbiamo pensare a una nuova fase della carriera di Tormento?
Sì, assolutamente. Per me è stata una continua evoluzione, se ripenso ai testi che scrivevo da piccolo e la musica che facciamo oggi... Chi mi ha seguito ci trova un filo logico ma ho cambiato tanti generi musicali, pur restando dentro il mondo dell’hip hop. Oggi mi capita di lavorare come autore ed è fantastico non rimanere fossilizzati sulla propria posizione, una cosa tipica soprattutto dei rapper. Ci sono delle barriere mentali e che oggi ritrovo nei commenti sui social.

Tormento - Foto di Elisa Platia

Nel presentare l’EP dici “in un mondo di gangster noi preferiamo il ruolo di Lovers”. Anche questo forse è un cambiamento per uno che è stato tra i primi fautori del gangsta rap in Italia, quantomeno nelle sonorità e nella reinterpretazione di alcuni archetipi.
Siamo cresciuti con gruppi come 2Pac, gli NWA. Quello per il gangsta rap è stato il mio primo amore. Poi nel 1998 abbiamo fatto un cambiamento con Amor de Mi Vida, dopo un viaggio a Los Angeles, tra le gang. Quanto tocchi con mano quella realtà ti accorgi di quanto sia simile alla nostra mafia, alla camorra, scopri che dietro l’impalcatura è la stessa e perde il suo fascino. Però è quello che mi avvicina alla scena trap di oggi, capisco che alla loro età siano affascinati dal film di uno scenario. Noi siamo super pacifisti, in realtà.

 

Le sonorità rimangono le tue. Resti straordinariamente coerente alla tua visione della musica e dell’hip hop in particolare. Il soul e il funk continuano a guidarti. Oggi più di prima?
Ma guarda, abbiamo appena fatto un pezzo jungle con Dj Aladdin, Lion D, Esa, che è andato molto forte in radio. A un certo punto scopri che la radice è la stessa. Oggi mi ritrovo ad ascoltare tutti i generi musicali, dal pop estremo all’elettronica. Non c’è confine quando ami la musica. E forse questa passione un po’ manca: gli adulti ascoltano solo la musica di quando erano giovani, il mercato sta in piedi grazie ai giovani, non ci si può lamentare poi se segue quelle tendenze.

 

Che ne è stato invece di Yoshi? L’ultimo progetto importante, intendo un album, se non sbaglio ha più di dieci anni…
Un progetto sempre vivo, assolutamente. Proprio adesso è uscito un album, Dove mangiano i cuochi, fatto con Esa come Siamesi Brothers e lì c’è tutto il lato di Yoshi. Il rap è vivo, pieno di giovani bravissimi, anche se fanno più scalpore i trapper. Sono progetti più nascosti, ma c’è voglia di fare cose come Yoshi, perché sento dentro alcuni argomenti che voglio esprimere.

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Chi ti piace di più tra le nuove leve? E chi della vecchia generazione ancora spacca?
Su tutti ti direi Tusco, che è un bravissimo rapper, come Marte, una ragazza molto brava. Di giovani ce ne sono parecchi. E poi c’è tutta una scena un po’ più adulta: Nex Cassel, Inoki, Johnny Grano. Tanta gente che fa ancora cose di sostanza.

 

E i Sottotono? Possiamo sperare in un nuovo album?
Sì, siamo al lavoro sempre con Fish, ci sentiamo sempre. Siamo due pazzi scalmanati, ognuno di noi ha in ballo 10 progetti aperti contemporaneamente, e la vita dell’artista deve essere un po’ così. Ci stiamo mettendo un po’ perché siamo davvero pieni di impegni, anche in estate ho una trentina di date.

 

Ti vedremo live prossimamente, quindi. Vuoi dirci qualche appuntamento?
Guarda, uno molto bello sarà il 3 luglio a Desio, poi il The Week a Cesanatico l’11 luglio, che è un evento di danza hip hop con ragazzi da tutto il mondo. Poi ci saranno le presentazioni di Booliron, documentario sulla storia dell’hip hop italiano e in particolare l’hip hop della riviera romagnola che è appena uscito. E il Jazz Festival a Cagliari il 15 agosto.