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Born in the U.S.A., i 40 anni di un album leggendario

Musica

Franco Ferraro

©Getty

Il 4 giugno 1984 usciva il disco-cult di Bruce Springsteen che trasforma il Boss nella più grande rock-star degli Anni ‘80

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La batteria di Max Weinberg che picchia duro, la chitarra di Miami Steve Van Zandt come una lama potente, le tastiere di Roy Bittan a compattare una rabbia scaraventata in sala di registrazione dalla guerra in Vietnam. Da lì viene il testo di Born in the U.S.A., che taglia la protesta di quel conflitto mai vinto dall’America, che brucia ancora oggi, quasi mezzo secolo dopo. “Se l’anima dell’America morirà avvelenata, sul referto dell’autopsia dovrà esserci scritto: 'Vietnam'”, disse una volta Martin Luther King. E Bruce è d’accordo. Per questo spegnerà sul nascere il tentativo di Ronald Reagan di usare la canzone durante la campagna elettorale. Il presidente aveva frainteso il senso della canzone, rapito dal titolo, perfettamente patriottico per il popolo repubblicano. Ma dentro c’era la guerra, inutile, la conoscenza della morte, l’anima a pezzi come i corpi dei compagni saltati sulle mine, la sconfitta, il ritorno a casa, il mancato riconoscimento del suo sacrificio per la bandiera, la disoccupazione. La realtà fulmina senza scampo il protagonista della canzone. Il sogno americano è solo dolore.

Scritte 80 canzoni ma "mancava il singolo"

Ma il disco uscito il 4 giugno del 1984 non è solo la title track. Il Boss scrive circa 80 canzoni per Born in the U.S.A., ne sceglie 11 per la tracklist. Ma il suo produttore Jon Landau gli dice che ne manca una: un singolo da spedire direttamente nella top ten americana. “Scrivitelo tu”, replica secco Bruce, poi torna sui suoi passi. Racconterà anni dopo: ”Ci sono album che vivono di vita propria e tu non puoi farci niente. Ecco perché decisi di arrendermi al disco che mi cambiò la vita”. Ed ecco nascere una clamorosa hit come Dancing in the dark, che il Boss scrive in un paio d’ore, quasi una reazione fisica, un atto liberatorio. Il pessimismo non evapora del tutto. Ma il pezzo è rock e dance. Lo spiega anche il video della canzone, diretto da Brian de Palma, con una giovanissima Courteney Cox. Bruce come Elvis sul palco. Puro spettacolo.

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UN ALBUM DA OLTRE 30 MILIONI DI COPIE VENDUTE

Dodici canzoni in una sequenza strepitosa che comprende: Cover meI’m on fireNo surrenderBobby JeanWorking on the highwayGlory DaysDownbound trainMy hometown. Cantate da Dio, suonate da paura. Sono passati 40 anni. Il disco ha venduto più di 30 milioni di copie e affidato Springsteen alla leggenda. E come dice un giornalista a James Stewart, in un vecchio e splendido western come L’uomo che uccise Liberty Valance di John Ford: ”Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”. “Giorni di gloria ti passano accanto, rapidi come il battito di ciglia di una ragazzina”, canta Bruce con incontaminata poesia in Glory Days. Il Boss c’era allora e c’è oggi. Nel profondo di ognuno di noi.