Primavera Sound 2024, dalla musica live al ruolo dell’IA: l’intervista a The National

Musica
Valentina Clemente

Valentina Clemente

Foto di Clara Orozco

Essere musicisti, oggi. Senza dover aderire ad un modello e dando una giusta importanza ai numeri e agli stream, e concentrandosi solo sul processo creativo, gestendo momenti più proficui ad altri di silenzio. Prestando attenzione al ruolo dell’intelligenza artificiale, sempre più presente nelle nostre vite e nella musica: sono temi di cui abbiamo parlato con Aaron e Bryce Dessner di The National, band che il 2 e 3 giugno sarà in concerto in Italia. L'intervista realizzata al Primavera Sound Festival a Barcellona

 

Mi sono sempre chiesta cosa significhi essere dei musicisti vecchio stile, soprattutto oggi, con il dilagare di musica, produzioni e accesso a queste modalità. Ma soprattutto: c’è ancora chi sceglie di studiare degli strumenti musicali e poi dedicarsi a questa professione? Sì, la risposta è sì. E non perché sono un’inguaribile romantica musicale, ma perché effettivamente esistono ancora degli artisti e dei musicisti che continuano a credere in questo percorso. Mi piace immaginare il gruppo americano The National come parte di questa categoria (che mi auguro non sia mai in via d’estinzione), e dopo aver incontrato Aaron e Bryce Dessner, cuore pulsante della band, ne ho avuto la conferma. La nostra conversazione inizia pochi minuti dopo la fine del soundcheck in vista del loro concerto nel secondo giorno del Primavera Sound (I MOMENTI MIGLIORI) ed inizia con una frase che ho letto in un recente articolo del Guardian, ovvero: “The National have become one of the pivotal bands of the last 20 years”. The National, una delle band cardine degli ultimi 20 anni.

“Non ci pensiamo troppo, ma è sicuramente molto lusinghiero leggere commenti di questo genere: lavoriamo intensamente a questo gruppo da molto tempo e sembra che tante persone siano cresciute con noi, anche grazie alla nostra musica. Il fatto che molte di loro siano effettivamente interessate a ciò che facciamo ci rende particolarmente felici” dice Aaron.

Il tour, i due concerti italiani e la musica, oggi

Sarete presto in Italia per due date, il 2 e 3 giugno. Com’è stato tornare in concerto in questo ultimo periodo?

Siamo in tour da circa un anno oramai, ed ora ci stiamo iniziando a divertire molto. Non vediamo l’ora di venire in Italia con il nostro concerto: abbiamo una sorella che abita nei pressi di Torino, così approfitteremo e andremo a trovarla. Sarà un’occasione per suonare, vedere mia sorella e il marito, e il nostro nipotino Luigi. Siamo molto felici di quello che sta per arrivare.

 

Torniamo al modus operandi di The National: avete uno schema che seguite quando iniziate a dedicarvi del tempo, e a scrivere nuovi brani?

Le nuove canzoni nascono secondo il modo che oramai abbiamo da tanti anni: io e mio fratello facciamo delle prove, che solitamente sono delle canzoni senza parole. Sono delle idee che abbiamo in testa e che, secondo noi, sono interessanti. Poi le condividiamo con Matt che inizia a sistemare queste idee, per poi lavorare ad esse tutti insieme. Le nostre creazioni non nascono e si formano in poco tempo: ci sono un sacco di cambiamenti nel percorso che le porta ad essere dei brani completi. A volte è complicato, ma è la modalità che per noi funziona.

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Nessuna "etichetta musicale"

Parliamo di etichette musicali, o meglio: realizzare della musica identificabile in un determinato genere. Quanto è importante per voi e per il vostro lavoro, e quanto può essere controproducente aderire ad una specifica sfumatura?

Abbiamo prestato attenzione a questo tema giusto all’inizio del nostro percorso di musicisti, solo perché per il primo album di The National ci era stato detto che facevamo musica country, che non è mai stato il nostro genere. Poi, però, siamo andati avanti per la nostra strada, creando brani che passo dopo passo hanno identificato la nostra storia come band. È pur vero, però, che anche noi siamo stati influenzati da tanti artisti che ci hanno permesso di diventare quello che siamo oggi. Questo non significa che la nostra musica necessariamente rientra nella stessa categoria di quella dei musicisti a cui ci siamo ispirati. Alla fine, è solo nostra, la nostra musica

Musica e intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale e musica: un cantautore mi ha detto che non è preoccupato dall’IA, ma dalla mancanza di creatività. Voi siete preoccupati all’idea che la musica venga toccata, e forse trasformata, da questi nuovi strumenti?

A dir la verità, l’intelligenza artificiale è diffusa da molto tempo, e tutto è successo senza che nessuno si accorgesse di nulla. Pensiamo all’autotune: anche questo strumento è frutto dell’IA, e lo si usa da tempo. Ciò che ci interessa è il modo in cui le persone la useranno: sarà interessante vedere che uso ne faranno le nuove generazioni, e siamo certi troveranno modalità molto creative. Noi stessi, non per The National ma per altri progetti, abbiamo usato l’intelligenza artificiale per sperimentare e creare qualcosa di nuovo…quindi ecco: c’è da molto tempo! Ci spaventa il fatto che possa eliminare delle professioni, questo è un elemento negativo di quello che potrebbe accadere.

 

Con questi nuovi strumenti…è difficile fare ed essere dei musicisti, oggi?

Siamo stati molto fortunati perché siamo cresciuti con la musica di alcuni nostri punti di riferimento, come Lou Reed, David Byrne, Michael Stipe, Patti Smith, Bruce Springsteen: musicisti vecchia scuola che ci hanno insegnato moltissimo e che abbiamo conosciuto. Guardando loro ci rendiamo conto che sì, essere un musicista vecchio stile si può fare. Eccome. E non continueremo a farlo.

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