Federico Baroni: "Nell'album Blackout dico che serve costanza per trovare noi stessi"

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

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Il disco si compone di 10 tracce e verrà rilasciato il 24 maggio. Segna un cambio di passo umano e artistico. L'INTERVISTA

Blackout è il secondo album di Federico Baroni, attraverso il quale il cantautore, tra i primi e più seguiti busker in Italia, vuole comunicare un vero e proprio punto di svolta

del proprio percorso artistico, la fine di un capitolo e l’inizio di uno nuovo. Un progetto ambizioso, più maturo e consapevole, sia dal punto di vista della scrittura che del sound, con il quale l’artista si distacca dalla sua dimensione acustica per mostrare nuove sfaccettature della propria musica. Nel disco, interamente prodotto dal producer multiplatino Riccardo Scirè e scritto insieme a grandi autori, tra cui Adel, Carone, Federica Camba, Folcast e Raige, emerge la versatilità di Federico Baroni, che passa con disinvoltura e credibilità da ballad molto intime e introspettive, in cui attinge al vissuto personale, a brani dal tiro più funky e R&B, che riprendono le sonorità anni Ottanta e danno al progetto un respiro internazionale.

Federico quando è nato Blackout e in cosa lo consideri un punto di svolta, l’inizio di un nuovo capitolo della tua vita artistica.
Il suo percorso nasce con l’idea di un concept quattro anni fa. Frequentavo un camp di Warner in Toscana e ho fatto una session con Riccardo Scirè dalla quale è nato Psycho Love. Ma è nata anche una intesa artistica e umana con Riccardo e poi con Davide D’Aquino abbiamo deciso di fare un album con un unico produttore per avere omogeneità e un suono coerente che legasse tutti i brani. Due anni di scritture, sessioni, incontri…non volevo perdere l’approccio busker ma volevo sonorità elettroniche anche su pezzi ballad. Poi è iniziato il percorso con i singoli, sentivo l’esigenza di uscire con l’album e nato Blackout.

Apri l’album proprio con la title track Blackout che è una canzone di spaesamento: fino a quante volte si può dire fine prima di scriverla, la fine?
Ho davvero un senso di spaesamento, mi sento di non essere in toto a fuoco perché mi piace spaziare nei generi, questo mi ha portato n senso di perdita e spaesamento. Sembra un pezzo d’amore ma la donna che appare nei testi è quasi sempre la musica con la quale ho un rapporto tormentato con alti e bassi come in una relazione vera.

Se ogni viaggio comincia con un passo che si chiama determinazione, per non vanificare l’incipit con cosa deve proseguire?
Con la costanza che è sempre stata una mia caratteristica, mi sento molto positivo e mi godo il picco di momenti di felicità legato anche a piccole cose. Chilometri è il percorso di amicizia e vita con Michele Merlo. Dal 2014 suono per strada e ho vissuto situazioni che mi legano alla musica ma soprattutto al viaggio. Per vivere ogni secondo devi camminare e consumare le suole come metafora interiore.

Ti capita spesso che la tua chitarra ti faccia da ombrello? E perché in Pur di Stare con Lei non ti è servita come neanche l’ombrello e il K-Way che per altro non avevi?
Trovare i riferimenti mi fa pensare alle diversità del mio stato d’animo. Chilometri nasce in un momento in cui venivo ho perso un amico, Michele Merlo appunto, e ho suonato tanto per strada ed ero emotivamente esposto, il mio rifugio era l’ombrello quando non riuscivo a fare capire cosa avevo dentro. Pur di Stare con lei nasce a Roma e con Folcast: decidiamo di fare un pezzo insieme, era estate e c’erano 35 gradi; ci siamo messi a jammare e in sette minuti è nata di getto la parte rappata che va dopo le singole strofe, il messaggio è sto così bene che non ho bisogno di niente, voglio solo uscire e farmi bagnare dalla pioggia di emozioni.

In Panico dici “so come prenderti quando ti incazzi”: e quando capita a te c’è qualcuno che sa come prenderti?
Sono una persona difficile, orgogliosa e testarda e spesso mi impunto. Chi mi conosce bene può intervenire. Sono autocritico e rifletto su quello che mi dicono, ci vuole tempo ma capisco se e dove ho sbagliato.

Jackpot più che la canzone del “ho già quello che voglio e non ci sto” sembra quella del vorrei ma non riesco, del voler prendere una astronave per partire senza tornare: è così?
E’ proprio così. Nasce nel periodo del lockdown, tutti eravamo a casa e si viaggiava solo con l’immaginazione. Qui c’è la voglia di libertà, di partire senza tornare. Il bisogno anche solo di uscire di casa che trasmetteva un senso di libertà era ancora più forte.

Fai un backup di tutti i sogni oppure solo di alcuni?
Anche Fino a Tardi nasce nel lockdown. Non di tutti ma di un po’, mi perdo spesso con l’idea di fare grandi cose, vedo cose per me fattibili che per altri non lo sono. E’ uno stimolo a puntare sempre più in alto. Ho ascoltato molta musica internazionale e quindi io volevo far crescere il cantante come un performer, io canto e ballo come Justin Timberlake e Michael Jackson. Quando lo ho proposto mi hanno detto mica sei come loro e mi ha dato fastidio.

Psycho Love, ampliando il discorso quando dici di parlare alle spalle e non stare di fronte, racconta la difficoltà che c’è oggi di comunicare: più siamo connessi più siamo soli. Quanto la musica può essere salvifica e che rapporto hai con i social?
La musica aiuta tantissimo, è terapeutica. Sto avendo forte problema con i social in termine di paragone con gli altri: io ho in testa una cosa precisa e poi vedo qualcuno che fa certe cose e fanno numeri altissimi, mi faccio condizionare dai numeri perché io cerco di fare le cose bene mentre sarebbe meglio diventare virale. Comprendo che è frivolo. Il titolo Blackout è anche la conseguenza di un down psicologico dovuto ai social. Ho fatto un percorso con una specialista. Serve costanza poi trovi te stesso. Voglio essere un artista che fa musica per rimanere.

“Se questa stanza potesse parlare” ti terrorizza o sarebbe una liberazione?
Mi incuriosirebbe. Mi sto concentrando su coincidenze, cose che accadono o anche no e che comunque mi spingono in una direzione. E’ un momento in cui cresco e sono consapevole. Ho già 40 pezzi nuovi per il nuovo progetto.

Che accadrà nelle prossime settimane della tua vita da artista e da busker?
Il percorso da busker al momento è fermo, ho compreso che la dimensione chitarra e voce non fa più per me, mi ha regalato gavetta e conoscenze ma ora non la vedo nel mio futuro. Voglio legare di più il live a una full band col riarrangiamento di tutto. Ho pure registrato una live session nello studio di Tommaso Colliva con brani che usciranno gradualmente. Voglio dimostrare che live sono molto di più di quello che si sente nel disco.

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