Il brano descrive il santuario della modernità dove niente di ciò che luccica è veramente oro, ma non per questo è meno desiderato o desiderabile
IL VIDEO E' INTRODOTTO DA UN TESTO ORIGINALE DELL'ARTISTA
“Supermarket” è il labirinto delle corsie che si biforcano, il tempio della gente, l’Impero della concorrenza dove regna Madama Abbondanza. Il supermarket come allegoria e sineddoche, come parte che rappresenta un tutto pervasivamente intriso della dinamica della domanda e dell’offerta. Un santuario della modernità dove niente di ciò che luccica è veramente oro, ma non per questo è meno desiderato o desiderabile. I supermercati sono le nuove cattedrali, spesso inserite nel deserto di parcheggi sterminati o in giungle di cemento desertificate per fare spazio alle nuove basiliche.
Parafrasando il Bardo: “Tutto il mondo è Supermercato”, tra i cui scaffali si nasconde, forse, Nostra Signora Felicità, promettendo, tra colori sgargianti e luci al neon, di soddisfare ogni nostro bisogno. Il prezzo? Diventare noi stessi prodotti da acquistare per costruire un’identità in linea con l’ultima tendenza. E, come ogni merce, accettare di rinnovarsi ad ogni data di scadenza, ad ogni nuovo trend, sacrificando relazioni ed empatia sull’altare della concorrenza più spietata.
È un discorso che vale per la vita sociale come per l’attività artistica, dove tutto è concesso a patto di sottostare alle regole e ai ritmi frenetici imposti dalla produzione industriale. Produzione di merci, di forme, di senso: tutto si differenzia perché tutto resti nel grande calderone del mercato. È una riflessione tra il serio e il faceto, nata sull’onda lunga del periodo pandemico, in cui i supermercati rappresentavano le uniche “oasi” sociali, un luogo dove andare anche solo per staccare dai domiciliari forzati e vedere altre persone, seppur completamente spersonalizzate, tra le corsie alla ricerca di nuovi tesori. E questi santuari del capitale, questi oracoli, ondeggiano tra accessibilità e inaccessibilità, si aprono o si chiudono a seconda della domanda che gli si pone.
Nel video non c’è nessun supermercato vero e proprio, perché l’idea è, appunto, che il supermercato è il mondo intero: l’abbiamo rappresentato come un Tempio che è anche una prigione, come una vasca angusta piena di tentazioni bibliche in cui però si nasconde il serpente, e come un luna park abbandonato, dove la festa e il giubilo sono finite da un pezzo. Il motivo è che non c’è più bisogno; il concetto è ormai dappertutto sublimato, non si riferisce più a un grande magazzino o a un centro commerciale definito da ingressi e pareti, ma è ovunque, nelle case e nelle strade: ogni luogo è scaffale, ogni cosa è prodotto.
È una trappola da cui è impossibile uscire, ma in cui si può solo stare in coda. È un’idea metafisica, come quella di universo o di società. È una parola svuotata di significato perché riempita a forza di ogni altra cosa, possibilmente superflua. Così l’unico modo per esorcizzare questa realtà e prenderne le distanze è forse proprio cantarla, un po’ come facevano gli aedi o i rapsodi satirici, facendone un inno stravagante e bizzarro che metta in luce l’assurdo marchingegno in cui ritroviamo, per trasformarci da prodotti desertificati a granelli di sabbia, in grado di sabotarlo e farlo crollare, insieme a tutto il resto, danzando insieme sulle sue rovine.