La Crus, quattro pilastri sono le fondamenta dell’album Proteggimi da ciò che Voglio
MusicaTorna la band che ha scritto pagine fondamentali per la storia della musica italiana. Mauro Ermanno Giovanardi, Cesare Malfatti e Alex Cremonesi hanno collaborato in fase produttiva con Matteo Cantaluppi. Ospiti del disco Carmen Consoli, Vasco Brondi, Colapesce-Dimartino e Slavoj Žižek. L’INTERVISTA
Proteggimi da ciò che voglio segna un grande e atteso ritorno per i La Crus, band che ha scritto pagine fondamentali della musica italiana; l'album di inediti prodotto da Matteo Cantaluppi e dagli stessi La Crus. E' un disco importante che apre le porte a ospiti importanti che regalano la loro arte e il loro sapere come accade in tre di questi dieci brani: Slavoj Žižek, illuminato filosofo, sociologo e politologo sloveno e Vasco Brondi padre del progetto Le Luci Della Centrale Elettrica arricchiscono La Rivoluzione. Con Carmen Consoli e Colapesce & Dimartino i La Crus attraversano un ponte virtuale tra passato e presente con le nuove versioni di Io Confesso e Come Ogni Volta. Il titolo è invece ispirato da Protect Me From What I Whant, un’opera dell’artista statunitense Jenny Holzer.
Partiamo dalla nascita del progetto.
Il disco è basato su quattro pilastri: il suono dei La Crus, la crescita singola negli anni di percorso personale, l’intervento di intervento di Matteo Cantaluppi che ha dato contemporaneità ai suoni e la Mescal che ha creduto nel progetto; senza un solo elemento di questi non sarebbe stato possibile realizzare. Proteggimi da ciò che Voglio. Certi progetti hanno bisogno di una congiunzione astrale che in questo caso si è verificata.
Non deve essere stato facile dopo tre lustri riannodare certi fili.
E’ stato faticoso lavorare perché dopo 15 anni di percorso personale non è stato semplice allinearsi. Ad Ancona c’era il festival La Mia Generazione (Giovanardi ne era il direttore artistico, ndr), che poi è stato piallato dall’avvento della giunta di centro destra, e il suo approccio era più vicino al Festival di Letteratura di Mantova che all’Heineken Jammin Festival. C’era una rassegna ribattezzata Mezzanotte un Film e sono stati invitati i Marlene Kuntz per musicare dal vivo due film. Pensando a cosa fare l’anno dopo e ragionando sulle commistioni tra musica, teatro e letteratura dei La Crus e stato naturale riprendere il progetto.
C’è stato un momento in cui il seme ha germogliato?
Durante una cena poco prima del lockdown, Marco Tagliola, storico nostro collaboratore, ci ha detto: siete dei co***oni se non provate a fare questa cosa. Noi creiamo una cartella su google drive e ci mettiamo dentro tutto dicendoci se viene fuori qualcosa di buono bene altrimenti pace. E’ per merito suo se siamo qua oggi, è grazie a Marco Tagliola. E ci sono ancora tanti pezzi da parte.
L’epoca quale è?
Tutto è iniziato agli albori del 2020, poi ci siamo fermati e abbiamo ripreso a fine 2021 quando è venuta fuori, grazie a Mescal, la possibilità di superare le diversità di vedute nostre con l’introduzione nel progetto di Matteo Cantaluppi che è riuscito a creare il giusto compromesso tra le varie idee e strutturare il suono globale.
Come lo definireste l’album?
Da un punto di vista letterario ci sono elementi che non ne fanno un concept ma tengono insieme le componenti del gruppo.
Non possiamo tralasciare le divergenze tra Mauro e Cesare.
Dopo 15 anni di lavoro in proprio è più difficile concedere delle cose. Ci abbiamo lavorato tra il 2020 e il 2021 per poi capire perché 16 anni fa ci eravamo sciolti: avevamo sguardi e idee diverse sui brani soprattutto su come chiuderli. Da una parte c’era istintività, dall’altra un lavoro più lungo che sviluppasse la forma canzone. Qui c’è stato lo stop, in due non lo avremmo chiuso e quindi abbiamo scelto Matteo e dovevamo stare alle sue regole. E’ il primo disco che abbiamo un produttore a parte qualche piccola cosa. Qui da una parte c’è la ricerca e dall’altra poco confronto con un certo tipo di mercato italiano. Nei La Crus ci sono una anima più esterofila e una più italiana. Matteo è riuscito a fare in modo che l’album possa essere più ascoltato ma ha anche lasciato spazio alla giusta ricerca sonora.
Una canzone che considerate la partenza?
Shitstorm fin dall’inizio è stato l’apertura del lavoro e mixato da Matteo è stato ancora più emozionante lavorarci grazie a una carica sul finale. A Mangia Dormi Lavora Ripeti ha dato quella potenza che raddoppierà gli ascolti in radio rispetto alla nostra versione. In questo Matteo ha trovato il compromesso giusto.
Parliamo un po’ dei testi?
Siamo così liberi da essere schiavi di noi stessi. Un po’ di maturità ci ha portato a considerare temi attuali e abbandonare un po’ l’aspetto amoroso che è solo in Sono Stato Anch’io Una Stella, che però è più amore verso l’umanità che verso un’altra persona. Il tipo di approccio è da filosofia sociale anche se l’idea di canzoni poliedriche è più spendibile. Non indossiamo l’eskimo e manteniamo l’aspetto poetico ma resta il desiderio intimo di confrontarci sul mondo.
L’album contiene un brano iconico quale è Io Confesso, che ha la collaborazione di Carmen Consoli.
Pensa che c’è una versione con Carmen del 2010 che non è mai stata pubblicata perché ci fu uscita di un suo singolo e Universal non diede l’autorizzazione. Ora c’è una versione più soul e lei è venuta fuori ancora meglio della versione che abbiamo nei cassetti. E’ stato naturalissimo farla.
Con Io Confesso siete andati al Festival di Sanremo nel 2011.
Eravamo in contatto per fare una cosa con Chiara Mastroianni poi si inserì Giusi Ferreri ma il verso non credo nel peccato perché non credo in Dio, la Ferreri, cattolica, ha voluto rivederlo, eravamo mondi distanti. Oggi diciamo che non ci sembrava una figata e siamo contenti che lo abbia cantato Mauro; per altro con lei ci siamo trovati in gara: lei stessa ci ha detto che cantato da Mauro era più bello e comunque diede forfait il giovedì sera quando il venerdì sarebbero arrivati i nomi degli artisti in gara. Il nostro Sanremo da outsider è stato fantastico, oggi credo sarebbe impossibile anche se un pezzo come Mangia Dormi Lavora Ripeti su quel palco poteva essere una figata.
Perché avete scelto come titolo Proteggimi da ciò che voglio?
L’idea di un testo con questo titolo è del 2023 per un progetto in memoria di Luca Bergia dei Marlene Kuntz, dunque ha un valore affettivo importante. E’ legata al truismo di Jenny Holzer. La cover è figlia di esperimenti: le macchie identificano in maniera forte quello che non ci fa bene ma comunque desideriamo; poi sono tre e potremmo essere noi. Lo sfondo è un particolare dell’opera Mouldy Manor di Gabriele Cremonesi, artista che fa esperimenti col lattice.
Immagino che ora si stia lavorando al tour.
Si sta costruendo quello estivo. Nell’attesa saremo il 28 marzo all’Auditorium della Radio Svizzera a Lugano e il 10 maggio in Santeria a Milano. Poi, dal 31 maggio, si parte