Gino Paoli, autobiografia per i 90 anni. L’intervista

Musica

Bruno Ployer

In un libro la vita, il continuo senso di provvisorietà, gli amori, i successi e i rimorsi dell'artista che ha comiciato la stagione dei cantautori italiani. Intervista a Gino Paoli per l'uscita di 'Cosa farò da grande'.

Gino Paoli, perché ha voluto scrivere un libro su di sé, non bastavano le sue canzoni?

Lo domando al caposcuola dei cantautori italiani, che ha appena pubblicato per Bompiani il libro 'Cosa farò da grande – I miei primi 90 anni'.

In effetti non lo so. Una costante nella mia vita è che io non cerco mai, ma tutto mi viene addosso. Tutto, comprese le donne. Non ho mai fatto la corte a una donna, sono sempre loro che hanno fatto la corte a me. La vita è sempre successa arrivando... sopra di me. Io facevo il pittore e il grafico e improvvisamente mi sono trovato a fare la star della tv. Roba da pazzi.  Mi è cascato addosso tutto.

Le 302 pagine del volume, scritto con Daniele Bresciani, ripercorrono la vita di Paoli dall’infanzia ad oggi, passando per gli episodi più noti alle cronache (Il tentato suicidio, gli amori) a quelli più personali (Il senso di solitudine dopo la morte dei grandi amici, i rimorsi, i periodi bui). Ci sono anche i rapporti con i colleghi cantautori, De Andrè, Tenco, Dalla e gli altri: capitoli che ci danno un interessante punto di vista su quell’universo così sfaccettato. Sarà che l’intervista si svolge in una azzurra giornata di sole su una terrazza romana che si affaccia sui Fori imperiali, ma Gino Paoli è diverso da come molti immaginano. Qualcuno dice che sia spesso burbero e scontroso, ma durante l’incontro è semplicemente spontaneo ed espone idee chiare con una saggezza diagonale, unendo vertici non consecutivi del poligono della vita. Anzi, spunta qualche sorriso quando il discorso prende una piega simpatica ed è bello incrociare il suo sguardo aperto che passa attraverso gli immancabili occhiali con lenti colorate.

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Il suo pensiero è trascritto con parole mirate nel libro e partendo da qualche pagina cerchiamo di esplorare per quanto possibile il mondo di Gino Paoli.

 

Lei ha scritto che questo è un libro da non leggere, cosa significa questa provocazione?

Perché è un libro che non può insegnare niente, anzi, il contrario: è un libro dove sono catalogati tutti gli errori che ho fatto nella vita.”


Quasi all'inizio del libro lei parla della sua infanzia durante la guerra a Genova e scrive che le sensazioni che ha provato in quegli anni l'hanno condizionata per tutta la vita.

 

Sì, è il mio senso di provvisorietà che ho sempre su tutte le cose. Se mi chiedi cosa farò il prossimo anno io ti rispondo: che ne so. Non esiste per me il pensare al domani, mi disturba pensare a quello che succederà, perché non so se succederà.  

La guerra ti dà questa sensazione, il fatto di tornare fuori dal rifugio e guardare in giro se c'è ancora la casa o no.  Per un bambino è una cosa che marchia per tutta la vita. Avevo dieci, undici anni quando è finita la guerra.

 

Con la sua generazione in Italia si affermano i cantautori e prima, come lei scrive, la musica era soltanto svago. La musica popolare, naturalmente. Quale contributo lei ritiene di aver dato come artista alla musica italiana?

 

Io sono un adoratore della verità, più o meno. Ho cominciato a scrivere così, per caso, mentre continuavo a fare il pittore e il grafico. Nel 1962, quando avevo già successo come cantautore, ho mollato il mio impiego.

Sono andato dall' amministratore delegato della ditta e lui mi ha detto:

Lei quanto prende qui?

E io ho detto: 60.000 lire al mese.

E quanto prende per una serata?

Beh, dico: 120, 160.

Se in un giorno prende 120 non le sembra che sia ora di dimettersi?

Io dico: sì, posso dimettermi, però lei mi fa una bella lettera di referenze, perché non si sa mai.

A farmi prendere coscienza di quello che ero, è stata una vecchietta che dopo una serata dove cantavo le mie canzoni di allora viene da me e mi dice: Sa signor Paoli? Quella roba lì che lei dice in ‘Sassi’ io ce l'avevo qui, ma non la sapevo dire.

Lì ho capito. Ho capito il servizio che deve dare un artista: è il bastone di quello che ha una gamba sola. Tutti hanno delle cose in testa, però non le sanno dire. Allora interviene l'artista, che gli dà le parole con cui esprimersi.

Questo più o meno è quello che mi è successo. E allora ho cominciato a scrivere davvero.”

 

L'amore che lei canta è più sensuale o sentimentale?

 

Credo che le due cose siano abbastanza vicine. Il sentimento e la sensualità sono così legati che non saprei come distinguerle. La sensualità e l'emotività. L'emozione e la sensazione. Tant'è vero che secondo me la sensazione diventa emozione qualche volta, non sempre.

 

Sappiamo, perché l'ha scritto lei, che considera Vasco Rossi il suo erede, ma tra i più giovani c'è qualcuno che secondo lei sta seguendo le sue orme?

 

Ma le seguono tutti le mie orme, in una maniera o nell'altra. Ho parlato con diversi giovani di adesso. Sanno chi sono e sanno cosa ho scritto. Forse sono un punto di riferimento in qualche maniera.

Chi ha detto che l'emozione è una cosa che si deve descrivere, che il sentimento è la cosa più importante, che l'amore è la cosa più importante? L’ho detto io.

E naturalmente i giovani lo sentono molto di più di uno che va in ufficio tutte le mattine, poveraccio.

 

È questo che le interessa trasmettere ai giovani? O c'è qualcos'altro che le piacerebbe trasmettere?

 

Mi piacerebbe trasmettere questo: la cosa che manca di più a questo mondo è la bontà. Devo scrivere una canzone sulla bontà e sarà difficile perché è facile cascare nella retorica. Però ritengo che sia una cosa che va detta, è la cosa che manca di più.

Lei è stato ed è un uomo buono?

 

No, io sono stato buono e cattivo come tutti gli uomini. Sono stato intelligente e stupido come tutti gli uomini. Sono stato un pazzo e un lucido come tutti gli uomini, eccetera. Ma forse di più di tutti gli altri.

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