Argirò, Pellegrino e Turbojazz, gli "stranieri" d'Italia conquistano il Viva Festival

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

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Si è conclusa l'edizione 2023 di questo appuntamento che trasforma Locorotondo e la Valle d'Itria nella capitale mondiale della musica elettronica. IL COMMENTO

Se devo pensare all’ombelico del mondo penso a Locorotondo nei giorni del Viva Festival. Perché l’ombelico del mondo è una citazione ma non uno spunto di indagine, di approfondimento. Ebbene qui, ogni anno per cinque giorni, la musica elettronica ha il suo ombelico del mondo. E’ come un antico manoscritto che si svela lentamente, con un incedere culturalmente lussurioso. Ci sono nomi che hanno più volte fatto il giro del mondo e che sono un po’ le chiocce di un universo fantastico che affascina anche chi, come me, quel mondo non frequenta con costanza. In questa edizione 2023 i nomi main sono Bonobo, Caribou e Talib Kveli. Sono l’avamposto di un mondo che fermenta ogni giorno, che fa ballare, pensare e sognare. Cito per tutti Moodymann e Jayda G, Little Dragon e Folamour. A migliaia sono arrivati alla Masseria Grofoleo, e non solo dalla Puglia, ma da tutta Italia e dall’estero per vivere una esperienza che si avvicina a quella dei grandi festival internazionali: quel che conta è esserci, è la partecipazione, è la condivisione. I nomi di chi salirà sul palco sono importanti ma non fondamentali perché uno è il richiamo ma gli altri spesso non sono neanche un pensiero per molti di noi. E si torna a casa ascoltandoli. Più ricchi umanamente e culturalmente. In totale hanno partecipato al Viva Festival circa 16.500 persone. Un numero importante considerato il numero di festival che stanno affollando l'estate 2023. Ancora una volta la Masseria Grofoleo ha dimostrato di essere capace di accogliere un pubblico numeroso, che diciamolo, si è mostrato rispettoso del luogo e dell'ambiente. Alla riuscita del Viva hanno contribuito anche alcuni sponsor privati, tra cui Renault e la Cantina di San Marzano, oltre a professionisti della comunicazione quali Valentina Ferrara e Alessandro Pardi.

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Il vero spunto di riflessione è che anche gli italiani invitati a raccontarsi attraverso la loro musica sono stranieri. A volte più stranieri degli stranieri stessi. Al netto del progetto dei Mace b2b Venerus, che mercoledì scorso sono stati protagonisti della serata inaugurale, gli altri tre nostri compatrioti in Italia vivono immeritatamente in ombra. Si chiamano Maria Chiara Argirò, Pellegrino e Turbojazz. Li ho incontrati e intervistati tutti e tre, in situazioni diverse, tra backstage e hotel, e tutti mi hanno trasmesso un senso di bellezza. Maria Chiara, romana da anni residente a Londra, con Forest City ci porta sui rami più alti degli alberi e ci mostra il mondo che vorremmo, il mondo come dovrebbe essere. Pellegrino vive alle falde del Vesuvio e con Morphé unisce il golfo di Napoli al Mediterraneo, ne assorbe le vibrazioni e ce le restituisce amplificate, con quel tocco di romanticismo che solo chi ha una sensibilità speciale riesce a modulare e rendere universali. Infine c’è Turbojazz che per pubblicare un album ci ha messo vent’anni ha scelto un titolo, Whateverism, che ha un'apparenza criptica ma un'essenza carica di emozioni: è uno dei rari casi in cui qualcuno riesce a donare una connotazione positiva a un vocabolo, a un concetto, che ha “ismo” come desinenza.  Forse questo è il solo consiglio che mi permetto di dare a chi organizza il Viva Festival: alzare la quota italica degli artisti. Tanto per come va l’industria musicale in Italia sono comunque stranieri.

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