Pellegrino: "Luci, ombre e compromessi ci rendono persone libere"

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

L'artista napoletano è stato protagonista di un live quasi mistico al Viva Festival, in corso a Locorotondo. Le sue sonorità sono incantatrici, come gli echi delle sirene. L'INTERVISTA

Si chiama Zodyaco ed è il progetto band del produttore napoletano, DJ e founder della Early Sounds Recordings Pellegrino, pioniere di un suono napoletano-mediterraneo. Al Viva Festival di Locorotondo ha portato la sua storia, il suo album Morphé, i suoi singoli e quel misticismo partenopero che nel Vesuvio ha il suo muezzin.

Partiamo dalla storia di Morphé e dal tuo set qui al Viva Festival.
L’album è la struttura portante, poi ci sono singoli. Ho proposto alcuni brani di Morphé che sono le fondamenta del progetto. Ho iniziato a scrivere testi e nel tempo è diventato un caposaldo. A giugno è uscito il singolo Malìa che ha un cambio anche sonoro: vengo dal djing, dalla produzione e dal lavoro in studio che mi piace molto.
Prendiamo Quimere: chi sono oggi le chimere?
Il singolo nasce dal dualismo di luci e ombre che ha fatto capolino in Morphé, presenta la città di notte e i suoi lati oscuri. C’è un ragazzo della Napoli che guarda il mare e che vive all’ombra dei vicoli, la Napoli del panno appeso. Luci e ombre vivono in ognuno di noi, rappresentano i paletti che ci imponiamo e che diventano un limite.
Ti capita spesso di sentire la voce delle sirene che inseguono i tuoi pensieri?
È un richiamo mitologico, è foriero di queste ispirazioni che nascono tra mare e golfo. Possono essere anche le necessità di scendere a compromessi con le cose della vita. Senza quelli saresti un’altra persona, serve la cera nelle orecchie per non cadere in loro tentazione. Soprattutto la cera serve nel mondo dello spettacolo per rimanere fedeli a se stessi, per abbracciare l’urgenza espressiva.
Di un progetto come il tuo si dice che non esistono orizzonti. Ne sei consapevole?
Il mio lavoro non è pre-impostato. Il quadro è spostare l’asticella e fare cose che senti tue per quanto certi paletti le frenino, è vivere oggi il pensiero di ieri. Non mi sento figlio del mio tempo per un discorso anche estetico, di ispirazioni agli anni Settanta e Ottanta. Per altro utilizzo solo strumenti dell’epoca.
Sia Sognatrici napoletane che Selezioni esotiche raccontano Napoli ma con una prospettiva mediterranea: quali sono i punti di contatto tra i due mondi che hai creato?
È l’espressione di un ponte tra popoli. C’è l’anima latina, da noi anche quella araba, e l’americana è l’ultima. Napoli è un contenitore di sonorità e influenze. Il neomelodico ricorda il canto del muezzin in alcune sfumature. Napoli è sotto i riflettori per lo scudetto e per rivalutazione ambientale. L’album nasce nel 2020 e dentro c’è il coro che parla di una Napoli che ora va bene ed è spendibile. Tutti oggi vogliono un pezzo di Napoli.
Tra la mitologia di Morphé e il realismo magico di Quimere cosa c’è?
Un percorso che non è una linea retta. Parto dalla melodia e quello che unisce il tutto sono Punta Campanella e Punta Posillipo che sono legate ma presentano scenari differenti.
Mi dici anche qualcosa di più sulla simbologia della copertina di Morphé: Napoli, la mezza luna umanizzata sul Vesuvio e i tasti del pianoforte che sembrano un elemento protettivo.
È onirica come prospettiva. C’è anche Capri che è una isola importante. Vivo a Portici, alle pendici del vulcano e la visita al Vesuvio è il mio cammino di Santiago. Va protetta la peculiarità musicale ed espressiva napoletana.
In Quimere invece vedo, per dirla con Paolo Conte, “quel mare scuro che si muove anche di notte e non sta fermo mai”, un occhio che sembra quello di Dio e una lava colorata, almeno io lo interpreto così: è giusto?
Sì, è una immagine esistenzialista, in quel periodo leggevo molto Camus. C’è una dicotomia continua tra quello che vorresti e quello che poi fai. Per questo c’è l’istmo, ovvero le due sponde della propria coscienza. Ma rappresenta anche l’impossibilità di incontrarsi a metà strada.
Il tuo è un progetto che non può essere catalogato: da una parte ti lascia la massima libertà ma dall’altra rischi che molti che potrebbero non solo apprezzarlo ma soprattutto comprenderlo non ne vengano a conoscenza. Ci pensi?
Lo ho accettato. Ne parliamo spessissimo. Quando un lavoro esce è del pubblico. Non voglio subordinare la necessità di comunicare per passare in radio. Comunque ci sono isole felici radiofoniche. Il compromesso può anche essere positivo se vissuto in modo spontaneo.
Inghilterra e Francia amano la tua musica: in Italia manca la curiosità?
Siamo malati di social e manca la curiosità. Io sono in autoproduzione.
Che accadrà nelle prossime settimane?
Ci sono concerti saltati per il maltempo. Farò ancora dei live, dei dj set e a settembre si va in letargo per riprendere la scrittura e la composizione. Sto pensando a un nuovo progetto discografico e a tappe indoor in primavera. La nostra è una start up musicale in quotidiano divenire.

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