Remo Anzovino presenta il singolo Chaplin: “Traduco i sentimenti della gente in musica”

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

Il compositore di Pordenone lancia il singolo che anticipa il nuovo album Atelier, in uscita a gennaio. Sue le musiche del Memoriale del Ponte Morandi di Genova che verrà inaugurato domenica 15 dicembre

Remo Anzonvino si conferma pesatore di anime. Le prende, le coccola, le trasforma in musica e ce le restituisce attraverso le sue composizioni che sono il racconto, intimo e viscerale, del primo quarto di secolo di questo inafferrabile terzo millennio. Il singolo che anticipa Atelier, l’album in uscita a gennaio, si intitola Chaplin ed è un omaggio all’immenso attore del cinema muto e al suo film Il Circo che idealmente si fonde con la gioventù artistica di Anzovino. Inoltre domenica sarà a Genova per l’inaugurazione del Memoriale del Ponte Morandi per il quale ha composto le musiche, lavorando a stretto contatto con l’architetto Stefano Boeri che ha progettato l’installazione permanente.

Remo quale è il segreto della tua musica?
La mia musica funziona perché dentro c’è il mio sentimento e quello del pubblico. L’album lo chiamo Atelier perché è stato suonato nello studio, anzi nell’atelier di Giorgio Celiberti e io tiro fuori le pagine pianistiche scritte negli ultimi 20 anni. Ho provinato pezzi del primo periodo e li ho mandati a Luca Bernini che non conosceva il mio inizio. Serve sempre un occhio esterno per la scaletta, io ero già proiettato nel futuro.

E cosa è venuto fuori?
Colleghiamo gli anni con un ragionamento logico: sarà un disco strutturato per periodi di scrittura e Chaplin era del 2004. Così comprendi come la struttura è evoluta, quando arrivi a Vincent capisci la direzione dell’evoluzione. In Instabul per la prima volta si sente la mia voce in un disco.

Dedichiamoci ora a Chaplin.
E’ la pagina dimenticata del progetto, io sono partito da qui: prendevo il treno da Pordenone per Bologna, avevo 27 anni. Vent’anni fa sonorizzai dal vivo Il Circo di Chaplin, il tema io lo avevo scritto per il finale. Ci sono stati riferimenti nel mio percorso che sono guide Charlie Chaplin è una come per ragioni diverse lo è stato Pier Paolo Pasolini.

Cosa ti affascina del circo chapliniano?
E’ la metafora del nostro vivere: lui diventa involontariamente l’attrazione del circo e, se ci pensi, oggi con i social siamo noi l’attrazione e non ci pagano. In quel film lui entra in quel gioco e con le situazioni rocambolesche che si creano ne diventa l’attrazione: si innamora della figlia del padrone che però ama il trapezista.

Quale è la forza del cinema di Chaplin?
E’ popolare in tutti i suoi film, descrive i sentimenti umani e dimostra che gli umani sono gli stessi a prescindere dal Dio in cui credono e da dove sei nato. Da qui nasce la scelta di un contrasto con la musica, con uno spleen di fondo che riporta il finale: il circo va e resta un pezzo del tendone con quella stella e lui si alza fa la sua camminata e se ne va perché questa è la vita. E’ come il mappamondo de Il Grande Dittatore o la scena finale di Luci della Città: è stato un genio per i mezzi dell’epoca, faceva ridere ma soprattutto pensare. E poi ci stava ricordarmi di me che da Pordenone andavo alla cineteca di Bologna a fare i miei primi lavori. E’ un omaggio all’arte e alla memoria di Chaplin, le sequenze sono quelle originali, il contrasto con la musica si fa struggente e io musicavo commentando e non limitandomi a comporre una didascalia delle immagini.

Domenica 15 dicembre sarai a Genova per l’inaugurazione del Memoriale del Ponte Morandi.
E’ un luogo in tre ambienti. Ho scritto la colonna sonora delle arcate che ne usufruisci tramite una cuffia: ci sono la storia del ponte, ci sono le macerie, i soccorsi e la comunità del Polcevera. Immagina quattro archi di tre metri per sei e con immagini grandi delle quali fruisci mettendo le cuffie. Questa musica applicata.

Come ci hai lavorato?
E’ musica d’ambiente sulla quale ho ragionato con l’architetto Stefano Boeri, che ha creato il progetto: sei nel silenzio e la musica entra in due punti fondamentali, in primis dentro il memoriale dove entri nel cilindro e fai una esperienza immersiva del crollo tra musica e rumori. Poi in fondo c’è una vetrata che ti porta in una serra bioclimatica, un luogo di rigenerazione ma anche di riflessione e riepilogazione: serviva musica che trasmetta l’emotività della serra ma anche che induca a restare e riflettere.

Dopo che avviene?
C’è la tragedia e poi arrivano 43 corpi celesti, che rappresentano le vittime, e si crea una situazione interstellare che da una sensazione di assoluto. Lacrime Sopra la Pioggia descrive quando i parenti delle vittime apprendono del crollo e capiscono che poteva esserci un loro caro e inizia la corsa verso Genova: ti senti sei coinvolto in una corsa verso una realtà che credi non possa essere vera. Il grande vuoto è dopo i funerali di Stato e descrive la durezza di non avere una risposta logica dunque perdi la bussola interiore.

Ti sei documentato molto?
Ho studiato le storie di chi ha perso la vita, ho letto Vite Spezzate il libro di Benedetta Alciato: la memoria è come un atomo di luce e la mia composizione finisce con il “la” che è il suono del diapason e ho immaginato una passeggiata solitaria fatta sei anni dopo dai parenti delle vittime che dialogano con le stelle: lì entra il violino che è la voce delle stelle e ognuno passeggia da solo e, non sai come, sei sopravvissuto al dolore e questo fa convergere i parenti verso il memoriale e c’è la fusione tra loro e le anime. Non è un happy end ma il finale di chi deve iniziare con fatica a camminare in una vita che è diversa.

Insomma, come in tutti i tuoi lavori, un profondo coinvolgimento emotivo.
Più lavoravo a queste storie e più mi appartenevano.

Approfondimento

Remo Anzovino, The second life of Icarus è la liberazione dei desideri

Spettacolo: Per te